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Breve analisi – Germania anno zero

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Breve analisi – Germania anno zero

A chiudere la cosiddetta Trilogia della guerra antifascista, dopo Roma città aperta (1945) e Paisà (1946), Rossellini firma, e dirige nel ’48, Germania anno zero, ancora considerato uno dei capolavori assoluti del Neorealismo italiano.

Un film straziante, drammatico e crudo. Rossellini ci presenta una Berlino demolita dai bombardamenti, una città che tenta invano di raccogliersi nell’immediato secondo dopoguerra. Un grigio tumulto di macerie, ormai, segno di una pesante sconfitta. Il regista, fin dall’inizio, presenta la tragica situazione cittadina con ampie vedute di resti e calcinacci che si addensano l’un l’altro, fino alla strada. Una massa informe di detriti, del tutto simile ad ammassi di cadaveri che si estendono per chilometri.

Germania anno zero, Roberto Rossellini (1948)
Germania anno zero, Roberto Rossellini (1948)

Un paesaggio quasi irreale. Un paesaggio nel quale il piccolo Edmund è quasi un ossimoro, una sfumatura bianca in una tetra oscurità. Ma non sa ancora che nonostante la sua determinazione nel riuscire a diventare prematuramente adulto, nel cercare di sostenere la sua ingrata e impotente famiglia, ne rimarrà corrotto. Circondato da negatività, egli stesso ne rimarrà talmente soggiogato da non saper distinguere ciò che lo circonda.

La sequenza finale

Lo strazio e la negatività sono evidentissime nelle sequenze finali. La macchina da presa non si stacca dal bambino, lo segue in ogni suo movimento, ogni suo passo, incurante della perizia tecnica. Rossellini è stato spesso considerato dalla critica ‹‹rude›› nella composizione dell’immagine, grazie a riprese spesso angolate, in movimento e con personaggi decentrati. Ma d’altronde il suo obiettivo è il puro realismo, rappresentare la pura veridicità dettata da un incessante dolore. Un dolore che il piccolo Edmund, per nulla supportato dai familiari, subisce continuamente in prima persona, e non è affatto in grado di controllarlo.

La macchina da presa segue il ragazzino mentre sale le scale di un edificio abbandonato, ponendosi fissa, di lato a lui, in un crescendo che preannuncia un qualcosa di terribile. Il ragazzino è agile, si arrampica e supera ostacoli pur di salire nei piani più alti della struttura. Giunto a destinazione, si aggira per il palazzo, deserto, incurante che potrebbe crollare da un momento all’altro. Si affaccia a quel che resta d’una finestra, lancia un sasso giusto per il gusto di farlo. Guardando in strada, nota che un carro funebre è venuto per prendere la salma del padre, morto pochi istanti prima per causa sua, nel palazzo di fronte.

Germania anno zero, Roberto Rossellini (1948)
Germania anno zero, Roberto Rossellini (1948)

‹‹Edmund!›› lo chiamano. Ma lui non risponde. Anzi, si rintana e si nasconde in quel palazzo che per un attimo è divenuto il suo nascondiglio. Si aggira fra le colonne del piano come uno spettro. I suoi movimenti sono incerti, innaturali, come ad imitare dei giochi che faceva in tempi più felici, con altri bambini, quegli stessi bambini che pochi attimi prima l’hanno allontanato e non gli hanno concesso nemmeno quell’ultima innocente partita a pallone.

Una morte “invisibile”

Edmund, una volta visto allontanarsi i suoi familiari, esce dal suo nascondiglio ma non è intenzionato ad andarsene. Si alza e si toglie la giacca appendendola ad una trave in metallo. La stessa trave la usa come scivolo fino al piano inferiore. Qui l’oscurità lo avvolge. Quei piccoli fasci di luce del piano superiore sono ora svaniti. Portatosi una mano alla bocca, si avvicina ad uno strapiombo, un mero buco nel palazzo.

Da lì, senza voltarsi indietro, si butta, morendo sulla strada dietro un piccolo muretto. L’unica ad accorgersi del gesto è una donna lì vicino che accorre ad aiutarlo, ma ormai è troppo tardi.

Finisce così la storia di Edmund, dietro un muretto. Visto da nessuno se non da una donna, lì per puro caso. Una morte ‹‹invisibile››, lontano da una società che lo disprezzava e che egli, in fondo, disprezzava. Una morte ‹‹disinteressata››, come altre centinaia nel dopoguerra.

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