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Scanners, di David Cronenberg, compie 40 anni. Cosa ne è della sua idea di società? Che cosa ci hanno lasciato le sue macabre visioni di un mondo votato all’autodistruzione?

[ATTENZIONE. L’articolo contiene immagini violente o disturbanti]

Correva l’anno 1981. Tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, il settimo lungometraggio del cineasta canadese approdava nelle sale del Nord America, in alcuni paesi europei e dell’America Latina. In Italia Scanners sarebbe stato proiettato a maggio, ma dell’anno successivo. Siamo nel periodo d’oro del nuovo cinema sci-fi. Il nuovo corso del genere è affidato a talenti ineguagliabili come Ridley Scott, John Carpenter, Steven Spielberg, James Cameron. Il nume tutelare, ovviamente, è Stanley Kubrick. Pur contribuendo alla rinascita del cinema indipendente, Cronenberg si muove al di fuori della New Hollywood, che pure dà un impulso enorme alla settima arte. Sia a livello produttivo, sia come estetica e contenuti.

Dopo i promettenti risultati di Rabid, Il demone sotto la pelle e l’eccezionale Brood, il regista canadese gira il suo primo film “ibrido”, tra Canada e Stati Uniti. Scanners è dunque una creatura di mezzo, in cui si percepisce l’adattamento agli stilemi a stelle e strisce. Horror e fantascienza, infatti, convivono con il noir e l’action. Tuttavia nell’opera è evidente l’impronta di un cinema più austero, sofferto nell’immaginario estetico quanto nelle lacerazioni psicologiche dei suoi personaggi. Un cinema che si avvicina più a Dreyer e Bergman che al supereroismo del nuovo continente. Eppure Scanners parla proprio di questo: del super-uomo e dei super-poteri.

Potere e sofferenza, intrinsecamente legati

La trama

Gli “scanners” sono esseri umani in grado di usare la telepatia. Apparentemente uguali alle altre, queste persone possono entrare in contatto con il sistema nervoso degli altri, influenzandolo. Opportunamente dosato, questo potere permette di arrestare la vita e di vivere la morte. Di leggere la mente, di mutare plasticamente la morfologia degli esseri senzienti. Lo scanner più potente sta cercando di dominare la società. Un eminente ricercatore sguinzaglia un altro potentissimo scanner contro il primo, per eliminarlo. Ma non tutto, ovviamente, è come sembra.

La natura umana

La natura umana e le sue mutazioni sono un chiodo fisso di Cronenberg. Psiche e corpo, in quest’ottica, sono solo la base di lancio di un continuo cambiamento, che ci dà forza, ma che ci fa anche soffrire. Il grande critico italiano Fernaldo Di Giammatteo definì trash il cinema del regista canadese. Con ciò non voleva sminuire la sua opera, anzi. Nella poetica di Cronenberg la natura umana ha un’intrinseca propensione a ciò che non è umano. La base di partenza, in tal senso, diventa con il passare del tempo un elemento residuale, un rifiuto da espellere, se vogliamo.

In Scanners, come nel precedente Brood, questa concezione è evidente. Gli impulsi che viaggiano fra le sinapsi non sono diverse dall’algoritmo che domina un hardware. Le emozioni e i ricordi non sono altro che potenziali di energia che, adeguatamente manipolata, può creare allucinazioni visive. Una nuova vita, in una nuova carne, è possibile. A condizione che lo stadio precedente venga sacrificato.

Manipolati e manipolatori: la società al di là del bene e del male

Bene e male

Inganno, manipolazione: il mondo di Scanners non ha vincitori morali, ma sopravvissuti. La società è fatta di individui che quasi non appartengono alla stessa specie. Le divergenze sono fatte per rimanere incolmabili e ogni tentativo di avvicinamento si tramuta in un’aberrante collisione. L’etica del superstite s’impernia perfettamente nell’estetica sci-fi e horror del periodo. La grande rivoluzione del cinema a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, infatti, consiste proprio nell’elaborazione visiva di nuove forme di “mostro”, facendo convergere l’umano e il non umano. Come in Alien (Ridley Scott, 1979), dove lo xenomorfo è in parte umano e ragione come esso. O come in Terminator (James Cameron, 1981), dove la macchina assume sembianze umane per infiltrarsi fra i ribelli. E perché non citare anche La cosa (John Carpenter, 1982), in cui la protagonista è la stessa natura ambigua dell’alieno?

E’ interessante notare come, in tutti i film citati, il consesso umano sia votato – o destinato – all’autodistruzione. Una dura lezione per le certezze su cui l’uomo basa la propria esistenza.

Autodistruzione e rinascita: la sopravvivenza risiede nella mutevolezza

Scanners: incubo o realtà?

Sempre più spesso, guardando le opere di Cronenberg, ci si chiede quanto abbiano preconizzato e quanto abbiano ancora da dire. Il suo settimo film, in un certo senso, scatta un’istantanea crudele sul mondo del futuro. Un mondo in cui il potere è il libero accesso nella sfera dell’altro. Un mondo in cui neuroni e software sono intercambiabili. Nel sistema voluto dall’industria e dal capitale, i mezzi per imporre la propria volontà sugli altri non provengono dall’esterno (l’osso di kubrickiana memoria), ma sono forniti dal genoma umano. Con qualche piccola miglioria, s’intende.

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