Blue my mind, la nascita di una sirena
Inquietante, coraggioso, duro. Sono queste le prime parole che mi vengono nel descrivere Blue my mind (2017), opera prima – per il cinema – di Lisa Brühlmann. Per affrontare i percorsi dell’adolescenza, la regista svizzera sceglie un terreno scivoloso come il fantasy, in un caleidoscopio horror della “generazione Z”.
La trama
La quindicenne Mia si trasferisce a Zurigo con la sua famiglia benestante. L’incontro con i nuovi compagni e lo sviluppo porteranno la protagonista a vivere importanti esperienze. Ma a guidare Mia è anche il progressivo palesarsi di una seconda natura. O meglio, della vera natura della ragazza, che la porterà a relazioni conflittuali con l’ecosistema cui appartiene.
Perchè guardare il film
Nonostante l’aura indie à-la Sundance, Blue my mind si caratterizza per un mondo fantastico reso attraverso scenografia, effetti di scena e soprattutto fotografia. Più minimalista de La forma dell’acqua (Guillermo Del Toro, 2017), il film mira all’essenziale, ovvero il mondo degli adolescenti. Il processo di cambiamento è qui tanto radicale quanto un cambio di pelle. Blue my mind potrebbe quasi ricordare l’austerità di un certo Cronenberg, anche se qui il tema non è quello della mutazione (causata da agenti esogeni), ma quello della rivelazione del sè.
Brühlmann non risparmia allo spettatore dettagli horror, sondando i meravigliosi e crudeli momenti vissuti da un gruppo di teenager. Violenza, ingenuità, anelito di morte, lotta per la vita: di tutto questo e molto altro è fatto Blue my mind, che intelligentemente si gioca tutto su una tavolozza dai cangianti chiaroscuri, come se il film fosse stato girato nelle profondità marine.
Lineare ma stratificato, il lungometraggio di casa Wanted (non a caso!) si eleva al di sopra del teen movie medio, portando la settima arte in territori che ne hanno bisogno.