Ossessione – Ricordi dal Neorealismo
Ossessione – Ricordi dal Neorealismo
Un capolavoro del Cinema mondiale, un simbolo della Storia cinematografica italiana.
Il Maestro Luchino Visconti realizza nel ‘43 uno dei suoi capolavori che lo eleva a capostipite del Neorealismo italiano: Ossessione.
Per la realizzazione, si ispira al romanzo Il postino suona sempre due volte (1934) di James M. Cain, già ampiamente conosciuto nell’ambito delle riviste hard-boiled (definite anche come pulp fiction) assieme a Raymond Chandler (noto scrittore e sceneggiatore statunitense, il più importante autore di narrativa hardboiled).
Il primo sguardo
Fin dalle primissime inquadrature del film è chiara l’idea del regista: mettere a nudo la realtà del tempo, senza troppo allontanarsi dalla verosimiglianza della storia narrata nel romanzo, trattando l’adulterio con rigore drammatico ma al tempo stesso tenendone le distanze, in una visione quasi analitica, dal forte impianto teatrale.
I movimenti quasi stilizzati, gli sguardi ‹‹voluti›› e riflessivi analizzati mediante intensivi primi piani denotano una grande attenzione al dettaglio comunicativo umano.
L’arrivo
Il film si apre come un road-movie. Una rudimentale on board camera apre i titoli di testa mostrando l’interno di un camion ma ponendo in fuoricampo l’autista e gli eventuali passeggeri, che percorrono una strada deserta sull’argine del Po.
Una dissolvenza a tendina mostra l’autista e il passeggero scendere dal camion per effettuare rifornimento in una stazione di servizio lì vicina, mostrata mediante una panoramica a seguire, focalizzata sull’autista che, scendendo dal mezzo, urla ‹‹Rifornimento!›› in attesa di una risposta.
I successivi modi rozzi, l’uso della voce alta e di una velata strafottenza ne denotano la chiara provenienza sociale.
Allo stesso modo si comporta il proprietario della stazione di servizio con addetto ristorante: un grasso
uomo sulla sessantina, presentatoci mentre esce dal suo locale. Quasi schernisce i due camionisti
mentre lo accompagnano sul retro del veicolo, mediante una carrellata a precedere.
L’inquadratura, poi, si sposta alle spalle dei tre uomini andando a mostrare il retro del camion: fra le merci trasportate vi è un uomo, probabilmente un vagabondo, vestito alla meno peggio. Indossa un cappello che gli copre il volto e le successive inquadrature non mostrano affatto le sue vere sembianze, lasciando lo spettatore incuriosito, ma rendendo evidente il fatto che si tratta di un uomo abbastanza giovane.
Il vagabondo viene costretto a scendere dal camion, lo si vede tramite un’inquadratura fra le vicine pompe di benzina. La stessa inquadratura, poi, compie una carrellata verso destra a seguire il proprietario e i due camionisti, per poi aprirsi in una breve panoramica che mostra il locale intero mentre il vagabondo ci si avvicina con disinvoltura.
L’attenzione al quotidiano
L’inquadratura successiva si sposta all’interno del locale, una trattoria caratteristica di quel tempo,
ricavata da un’ex-dogana. Non vi è molta gente all’interno ma vi sono tre cani che subito si avvicinano
al vagabondo, appena entrato: ciò denota un evidente legame alla ruralità campagnola.
Il volto del protagonista non è ancora mostrato mentre si muove verso il bancone ma qualcosa attira la sua attenzione: un soave canto di una giovane donna proveniente dalla cucina.
Il protagonista si muove verso la cucina, appoggiandosi sull’uscio della porta. Questa particolare inquadratura è composta da una mezza figura del vagabondo, sulla destra, che lascia intravedere delle
gambe di donna sulla sinistra.
È un evidente segno di sensualità ma al tempo stesso rimane la nozione di mistero tipica delle sequenze precedenti: Visconti non mostra il volto del protagonista, e il corpo di quest’ultimo copre per un attimo le sembianze della donna andando ad accrescere il senso di curiosità nello spettatore.
Alla richiesta del vagabondo di poter mangiare, ecco che Visconti ‹‹ci apre gli occhi›› sui personaggi: l’inquadratura successiva mostra il primo piano della donna, seduta sul tavolo della cucina intenta a mettersi dello smalto sulle unghie che, attirata dalla voce di quell’uomo misterioso, alza lo sguardo incuriosita, smettendo di cantare.
Un primo piano con carrellata ottica, poi, ci mostra finalmente il volto del protagonista. Si tratta di un uomo sulla quarantina, dalla barba incolta ma dallo sguardo penetrante e magnetico. Lei ne è attratta fin dal primo momento.
Visconti, grazie a questo binomio di sguardi, riprese su dei volti ‹‹intensivi››, intesi alla maniera ejzensteiniana, illuminati lateralmente proprio per andarne a scolpire le sfaccettature, mette subito in collegamento i due personaggi.
Conclusioni
Solo con questo campo e controcampo Visconti preannuncia e spiega tutto ciò che succederà all’interno
del film: un pericoloso adulterio alle spalle di un marito ignaro, che porterà entrambi gli amanti alla
disfatta, prima psicologica poi fisica, su quegli stessi argini del Po da cui tutto ha avuto inizio.
Una pietra miliare del Neorealismo italiano, che scava imperturbate all’interno della socialità più quotidiana e rurale.
Niente costruzioni sceniche hollywoodiane, niente attori professionisti. Semplicemente la realtà nella sua sensuale crudeltà.