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L’impero dei sensi: Sada, Kiki e l’osceno secondo Oshima

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Ecco l’impero dei sensi è il racconto più famoso della scabrosa vicenda di Abe Sada, che nella seconda metà degli anni ’30 sconvolse l’intero Giappone. In concomitanza con l’uscita di Abe Sada, il fiore osceno, una nuova visione del film era obbligatoria.

L’impero dei sensi usciva nelle sale a partire dall’autunno 1976: in alcuni paesi censurato, dati i contenuti espliciti. Le prime apparizioni furono però al Festival di Cannes e di Locarno, tra la primavera e l’estate dello stesso anno, dove le voci attorno alla pellicola amplificarono le attese, tanto da costringere gli organizzatori a prevedere molte proiezioni in più rispetto a quelle previste. In Italia, i distributori mettevano in circolo il lungometraggio solo nel 1979.

Ma di cosa parla il film di Nagisa Oshima? Come tratta la vicenda di cronaca? Quali sono i suoi contenuti e il messaggio? Proviamo a dare qualche riferimento.

Il racconto si bassa sui fatti di cronaca che hanno per protagonista Abe Sada, una donna di trent’anni che nel 1936 divenne amante del titolare del locale presso cui lavorava, Kichizo Ishida. La relazione extraconiugale diventa presto ossessiva e slatentizza la psicopatologia di Abe, che arriverà a mutilare il suo partner.

Si è molto dibattuto sulla natura del film, che per alcuni è di genere erotico, per altri è del tutto pornografico. Il materiale però lascia ben pochi dubbi: le scene di sesso sono esplicite, e non sempre giungono al termine di un percorso visivo propriamente erotico. Al contrario, vale la pena di soffermarsi sul concetto di pornografia: essa per definizione, è ciò che attiene all’osceno, all’indecente.

Oshima, d’altronde, sembra proprio voler dare una rappresentazione dell’osceno. Per farlo, il cineasta giapponese utilizza tutti gli strumenti messi a disposizione dal cinema, dalla scenografia, alla regia e sceneggiatura, al montaggio.

La scenografia

Caseggiati privati, bordelli: il set de L’impero dei sensi è curato fino al dettaglio. Anzi, è talmente spoglio di ogni altra presenza attoriale all’infuori dei due personaggi principali, da elevarsi a co-protagonista del film. Da una parte, questa scelta cala Sada e Kiki in un contesto di alienazione, in cui il sesso non è semplice gioia, ma vera psicosi. Emblematica, in tal senso, è la scena del passaggio dei soldati giapponesi che stanno per invadere la Cina: questo momento non ha alcun rapporto con le dinamiche del plot, ma viene comunque inserito, come a significare che attorno alla nostra storia c’è un mondo che si muove, quello della Storia, che però non ha alcuna relazione con la trama. Il mondo in cui sono precipitati Sada e Kiki è quello dei propri stimoli sessuali e della propria mente.

I protagonisti dunque sono calati in un contesto al di là dei confini spazio-temporali. Il tempo in cui si muovono sembra essere quello del mito, in cui i due amanti si muovono come divinità. Paradossalmente, con questa scelta si finisce per pensare proprio alla società nipponica: una realtà radicata nella tradizione, nei valori aprioristici. Ed è proprio questa realtà che Oshima intende distruggere.

La scena che meglio fa capire questa intenzione artistica è quella del finto matrimonio. Questa parte è introdotta da un piano abbastanza ampio nel quale la macchina da presa include i due protagonisti, in figura intera, seduti di fronte ad un ristretta platea di musiciste e cortigiane. Dagli abiti, alle pose, agli oggetti di scena, ogni cosa ruota attorno al tema sponsale e della famiglia. Un bonsai sullo sfondo simboleggia la fertilità e la procreazione, due ceri ai lati rappresentano la purezza e la sacralità del momento. Tale sacralità, di lì a pochi istanti, viene “devastata” da un rapporto sessuale al cospetto di tutti, che terminerà con un cut e un magnifico zoom back su tutta la scena, divenuta oramai teatro di un’orgia. L’oscenità, dunque, è proprio questa: il corto circuito fra rito e impulso, fra ragione e desiderio, fra perfezione compositiva a rivoluzione formale.

Regia e sceneggiatura

Il primo incontro con il sesso, nel film, non avviene fra i due protagonisti, bensì fra Kiki e sua moglie, che Abe Sada spia. Questa scelta, però, non sarà un filo costante del film. In alcuni momenti, i rapporti sessuali si vedono da una prospettiva di 3/4, suggerendo il punto di vista terzo e “voyeristico”. In altri momenti, invece, L’impero dei sensi si avvicina e si stabilizza su accurati profili. I numerosi dettagli sui genitali sono un escamotage – anche banale – per impressionare lo spettatore, soprattutto del grande schermo. Gli ultimi drammatici amplessi, invece, prediligono la figura intera sfruttando la profondità di campo.

Questa permette ai corpi di “invadere” la scena con la nuova simbiosi raggiunta, che si gioca sul filo di collegamento fra amore e morte. La perfezione estetica dei corpi, nudi o vestiti, liberi o costretti dal bondage, è rappresentativa della nuova “forma mentis” dei due, che non nega la cultura tradizionale, ma la riformula, riadattandola alle proprie esigenze. Il processo di creazione, in definitiva, passa per la distruzione del paradigma sociale ed estetico: la fusione fisica e spirituale dei due amanti diviene una sorta di “canone inverso”, un simulacro nuovo di perfezione, una “nuova carne”, come direbbe Cronenberg.

La narrazione, che in pratica è un continuo duetto, assume contorni di racconto sociale. In questo minuscolo spaccato, anche la violenza assume un valore portante. Si prenda la scena in cui Sada è al letto con il suo maestro: i due hanno un rapporto solo dopo che lei ha chiesto e ottenuto di essere seviziata. Incredibilmente, però, è il maestro la vera vittima di questa esperienza, costretto com’è a fare qualcosa contro la propria volontà.

Sada ha un ruolo dominante anche negli amplessi con Kiki: la sottomissione anche qui viene invertita e l’umiliazione corporale, strumento utilizzato per impartire l’educazione, diviene una sorta di contrappasso che la protagonista oppone a figure maschili teoricamente forti. Anche in questo, in fondo, consiste la trasgressione e l’oscenità: nel ribaltamento dei ruoli che la cultura tradizionale attribuisce nella relazione sensoriale. L'”impero”, ovvero il “comando”, il “dominio” rimane l’affresco principale, anche se i suoi interpreti sono variati.

Montaggio

Infine, due parole sul montaggio. L’impero dei sensi, in quest’ambito, è ancora una volta un concetto chiave per capire il film. Come i sensi si affermano sulla ragione, anche la storia perde la sua linearità, alternando momenti “reali” ad altri onirici. Anche il filone centrale, la convivenza ossessiva di Sada e Kiki, si propone come un continuum totale, un disco che si ripete, in un perpetuo moto ondoso che va dal desiderio al suo appagamento, alla formulazione di un nuovo desiderio. L’editing, silenzioso protagonista, propone allo spettatore una sorta di ipnosi, un loop di segmenti che si ripetono, variando minimamente il tema.

In conclusione

L’impero dei sensi, lungi dall’essere un capolavoro, è un’esperienza visiva da non sottovalutare. Oshima, che poi racconterà la società nipponica attraverso il war movie Furyo, rivela il Giappone attraverso un climax “osceno”. Ma osceno per chi? Soprattutto, per il sistema valoriale della nazione, che appena trent’anni prima subiva un olocausto nucleare, l’estrema prostrazione, questa volta di fronte alla Storia.

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