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Monografie: Pascal Laugier nella terra dei fantasmi

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La carriera di Pascal Laugier non può certo definirsi estremamente prolifica: in 15 anni il regista francese ha realizzato appena 4 film. E’ il caso di dire: pochi ma buoni, anzi buonissimi.

Cresciuto a base di cinema gotico europeo, il nostro Laugier ha deciso, anni fa, di portare avanti una propria estetica dell’horror. Innamorato di Mario Bava e Lucio Fulci e aiutato dall’amico e regista Cristophe Gans, l’autore ha scelto di raccontarci la crescita dei più piccoli. Il mondo artistico di Laugier sembra splendidamente anacronistico: la sua poetica della sofferenza, della malvagità e dell’alienazione sembrano propri di un regista del dopoguerra. E infatti, piccole spaventose guerre si muovono nell’universo sotterraneo di Laugier. Abissi di follia, ma anche di salvazione.

Saint Ange (2004)

Sfoggiando un raro gusto per le immagini, Laugier esordisce con Saint Ange, opera che mutua il nome dall’orfanotrofio che, sulle Alpi francesi, ospita un folto gruppo di minori, vittime indirette della seconda guerra mondiale. Protagoniste sono Anna (Virginie Ledoyen) e Judith (Lou Dillon). Le giovani donne verranno a conoscenza dei segreti della struttura, del suo torbido passato, mettendo a nudo le proprie sofferenze.

Saint Ange (2004)

Difficile capire cosa sia scattato in mente a Laugier. Reduce da un decennio (i ’90) ben poco prolifico per l’horror, a inizio millennio il regista francese mette in scena un dramma fantastico, ingioiellato con un gusto anni ’60. Carrelli lenti, fotografia virata sui grigi, cura maniacale del dettaglio: Laugier firma già un’opera d’autore, citando esplicitamente L’aldilà (Lucio Fulci, 1981) in un racconto che scopre con pudore e costanza il fragile mondo di due ragazze che si affacciano su un mondo ancora colmo di dolore e devastazione.

Martyrs (2008)

Visto lo stile dell’esordio, nessuno si sarebbe aspettato un seguito come quello che viene a distanza di 4 anni. Martyrs, sotto molti punti di vista, è agli antipodi di Saint Ange. Nervoso e sanguinolento, colorato e raccapricciante, il secondo film di Laugier racconta la storia di Anna (Morjana Alaoui, impressionante), che sin da piccola stringe un fortissimo legame con Lucie (Mylene Jampanoi): quest’ultima, da bambina, è stata sequestrata e seviziata in un garage, dal quale è riuscita a scappare. La sofferenza, il senso di colpa, la paura di provare dolore inseguiranno i personaggi, fin quando sarà indicata una via per la liberazione. La più estrema possibile.

Martyrs (2008)

Per il ritorno in cabina di regia, Laugier sceglie di muoversi in pochissimi spazi, macchina a mano, tenendo vertiginosamente alto il livello di violenza, e sempre “in campo”. Ma la brutalità delle immagini non è routine da mattatoio. Dietro una forma completamente rinnovata, l’autore torna a parlare dei suoi temi angosciosi, mettendo al centro personaggi e dinamiche che non riescono a liberarsi del “male di vivere”. La vita, secondo Laugier, non può essere separata dalla sofferenza. Per sopravvivere al male, invece, è necessario abbandonarsi ad esso, nel modo più crudele che si possa immaginare. Il nuovo horror di Laugier spaventa, ma soprattutto inquieta fin nel midollo, perché parla direttamente al nostro nucleo esistenziale. Se la parola capolavoro può essere spesa, allora deve essere usata per Martyrs.

I bambini di Cold Rock (2012)

Dopo opere tanto diverse – ma al contempo simili – Laugier poteva ancora stupirci? La risposta è sì. Con il suo terzo lungometraggio, il cineasta sposta il suo set nella sterminata provincia americana. Il racconto si focalizza su Julia (un’eccellente Jessica Biel), infermiera che una sere vede un “uomo nero” rapire il proprio figlio. Le sparizioni continuano e distillano rancori, pregiudizi e violenza da una comunità apparentemente coesa.

I bambini di Cold Rock (2012)

Cold Rock, cittadina inesistente, è la materia che Laugier plasma, passando dal “fantastico” (ciò che può avere una spiegazione) allo “strano” (ciò che può essere spiegato in modo del tutto logico). L’autore torna ad una regia più morbida e a contenuti meno travolgenti di Martyrs, intessendo un thriller il cui disegno finale non è tanto la soluzione dell’enigma, ma la vita del piccolo paese. Cold Rock, insomma, è il vero protagonista della storia. Come nella migliore tradizione fulciana, fantasmi, morte e disperazione non vanno cercati nell’inferno: sono già qui con noi.

La casa delle bambole (2018)

E siamo arrivati all’epilogo di quest’intensa carriera. A sei anni da Cold Rock, Laugier sforna questo stupendo film di suspense orrorifica. Tradotto con La casa delle bambole, il titolo originale di questo film (Incident in a ghostland) rende molto di più la poetica del nostro regista. Il regista questa volta ci porta nella macchina di Pauline (Sabrina Duranti), madre di Beth (Valentina Favazza) e Vera (Sara Labidi) mentre sono in viaggio per raggiungere la loro nuova casa. Nella notte, però, le tre attireranno i perversi aneliti di due maniaci assassini. Cosa accade? Chi e come si salva? Perché, dopo 16 anni dall’accaduto, Beth continua ad avvertire strane presenze nella casa?

La casa delle bambole (2018)

Laugier torna ancora una volta dalle parti di Fulci, mistificando la realtà, lavorando con finezza sulle aspettative del pubblico. Il risultato sfiora vette eccelse: l’elaborazione della protagonista è a dir poco magistrale, lo scontro con i maniaci cerca il genere, regalando tensione.

In conclusione

Che il nostro Laugier sia un regista dotatissimo è oramai cosa nota. In soli quattro film l’autore francese ha inanellato storie con stili e ritmi differenti, e tuttavia tenendo i riflettori puntati sulle stesse entità. Gli spettri, quelli del passato e dell’anima. Il rimorso e l’angoscia sono gli stessi di Jean Pierre Melville: pur perseguendo finalità artistiche differenti, Laugier impregna le sue opere di tragedia, di vicoli ciechi, di speranze vanificate, di espiazione. In questo stesso mondo, però, il regista nasconde le chiavi per salvarsi, per venirne fuori.

Ad essere spietato, alla fine della fiera, è il ritratto di una società che cova violenza, dolore, odio implacabile, pregiudizi. L’individuo viene posto di fronte ad una scelta durissima. E, come nelle favole, la strada stretta e tortuosa è ciò che ci conduce alla salvezza, mentre la comfort zone sublima l’essere umano in ectoplasma.

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