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Libero Stato #2 – Rats (1984)

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Cosa c’è da vedere della filmografia di Bruno Mattei? Dipende. Tutto, se si ama il trash più bieco. Niente, se si ama il buon cinema. O meglio, niente, tranne Rats, disponibile sul canale YouTube Film&Clips, della Minerva.

Chi vi scrive mantiene un ricordo piuttosto affezionato di questo distopico a tema roditori. Forse perché prima di visionare l’opera di Mattei ebbe l’indubbio dispiacere di devastarsi occhi e cervello con uno dei peggiori film che siano mai stati concepiti e realizzati. Si chiamava Robot holocaust, un altro distopico a bassissimo budget. Un altro film degli anni ’80, ma degli ottanta peggiori: se avete tempo da buttare, andate a verificare.

Ad ogni modo, il successivo Rats – messo nel lettore attorno alle due del mattino – fece al vostro affezionatissimo un’impressione più che positiva. Almeno per una parte del film, la più movimentata. Sappiamo infatti che Bruno Mattei, futuro autore di perle come Mondo cannibale e Nella terra dei cannibali, usava infarcire i propri film con tutta una serie di sequenze senza molta aderenza con il resto del racconto. Rats non faceva eccezione, ma a difesa del nostro Mattei va detto che questa tendenza c’è sempre stata, in ogni epoca del cinema. Anche oggi, solo che forse non ce ne rendiamo conto e osanniamo roba – film o serie – interamente basate su filler o stronzate.

La trama di Rats è minimale: nel 2200 e rotti, quel che resta del mondo sono frammenti di società sopravvissuti ad un olocausto nucleare. Un ‘commando’ di questi, conciati come i cattivi di Kenshiro – serie, peraltro, coeva – raggiunge un villaggio abbandonato, dove deciderà di accamparsi. Ma i nostri avventurieri non sanno che l’avamposto è abitato da migliaia di ratti famelici…

Cosa aspettarsi da Rats? Ovviamente una carneficina, diretta conseguenza dello scontro fra umani e ratti. Mattei però confeziona un film che mantiene un suo gusto, pur prendendo a piene mani da Mad Max e dall’orrore macabro di Lucio Fulci. Peccato, però, che di Fulci Mattei non avesse la poetica gotica. Il film comunque scorre per la sua oretta e mezza, dopo la quale si sente il peso di qualche lungaggine. In un racconto del genere, quel che conta sono gli effetti, e l’Italia è sempre stata maestra nell’allestire splendide scene analogiche. Qui, ogni tanto, i ratti arrivano a secchiate e sembrano pantofole un po’ più pelose del solito. Ma vabeh.

La verità è che a Rats si può perdonare questa come tante altre cose. Considerando che in questo film si vede una parte del set usato in C’era una volta in America – coevo anche questo – viene spontaneo un sorriso nostalgico. Pensando a cos’era il cinema una volta: un luogo di grandezza e di miseria, di dirittura artistica e di furberie da rubagalline. Uno specchio della società, si potrebbe dire.

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