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Da Dune, con amore

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Da Dune siamo usciti molto soddisfatti. Avrebbe potuto essere il contrario. Poteva trattarsi di una vera e propria ciofeca, anche perché il fantasy è materia difficile da maneggiare, e questo Denis Villeneuve lo sa bene.

Non è questa la sede per una comparazione fra il film del 2021 e quello, a firma David Lynch, del 1984. L’idea non è nemmeno quella di mettere a confronto l’opera filmica con quella letteraria, sterminata, di Frank Herbert. La domanda, semplicissima, è questa: a cosa si trova di fronte lo spettatore neofita?

La trama, ampia ma densa, immerge lo spettatore in un fitto poema eroico. Dune, più che presentarci l’impalcatura di un mondo, ne analizza il contenuto come fosse oggetto di un racconto storiografico. Un racconto nel quale, però, ci sono eroi, tiranni, usurpatori: la classicità del tutto assume il rilievo dell’iconografia, come nel cinema di Kubrick. Prima di narrare, Dune rappresenta, simboleggia, in un modo tale che i racconti si moltiplicano, si diramano verso le più disparate direzioni. Il film di Villeneuve, insomma, non può essere sviscerato ad una prima visione.

Dal punto di vista cinematografico, Villeneuve non rinuncia ad un’unghia della propria poetica. Lo sguardo prediletto del regista è quello del personaggio inconsapevole. Il protagonista è Paul Atreides (Timothée Chalamet) rampollo di una nobile casata stellare cui l’Imperatore consegna, come feudo pro tempore, il pianeta Arrakis, ricco della “spezia”, la sostanza più preziosa dell’universo. Arrakis, mondo desertico, è però abitato dai fieri Fremen, popolo delle dune, che celano mille pericoli.

Davanti agli occhi del personaggio scorrono immagini difficili da decodificare, che si tratti di sogni o realtà. Proprio come in Sicario (2015), il protagonista è il bandolo di un intrigo e di un destino corale, più grande di lui. E proprio come in Arrival (2016), la conoscenza di ciò che si ha dentro e di ciò che si vive avviene tramite un processo di abbandono. Senza cedere alla tentazione di fare spoiler, possiamo anche dirvi che lo sviluppo del carattere procede attraverso la perdita dell’innocenza. Esattamente come in Prisoners (2013).

In Dune, inoltre, Villeneuve gestisce perfettamente il suo budget più alto (165 milioni): fotografia, costumi ed effetti speciali concorrono all’obiettivo di creare un immaginario meraviglioso e appunto iconico, che si tratti dell’arte di Francis Ford Coppola (Apocalipse now) o quella del Mantegna (il Cristo morto).

I colori divampano, la fantasia fluttua, la storia prende. Cosa augurarvi se non, semplicemente, buona visione?

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