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The French Dispatch – Il liquido fantastico mondo editoriale di Ennui

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Di The French Dispatch si è detto di tutto e di più. E noi di certo non ci sottraiamo: a prescindere da cosa ne pensiate, l’ultimo film di Wes Anderson merita una visione. Anzi, molte, per provare a capire l’universo fantastico generato da questo altrettanto fantastico cineasta.

La trama. Quale trama? French Dispatch sembra non averne, o averne centinaia, ed è proprio questa la sua cifra stilistica. Il film narra la storia delle sezioni e dei cronisti del French Dispatch, giornale che, sotto la guida di un visionario editore (Bill Murray) “ha portato il mondo” nella cittadina immaginaria di Ennui-sur-Blasé. Così al solerte Sazerac (Owen Wilson) spetta fare un giro in bici in stile Amarcord nella cangiante Ennui, mentre Berensen (Tilda Swinton) ripercorre l’epopea degli elzeviri attraverso la straordinaria storia di Moses Rosenthaler (Benicio Del Toro), artista d’avanguardia nonché omicida psicotico.

E ancora. A Lucinda Krementz (Frances McDormand) è affidata la burrascosa cronaca della rivoluzione studentesca, dopodiché Roebuck Wright (Jeffrey Wright), uomo dalla “memoria tipografica”, infarcisce la sua rubrica enogastronomica di nera e racconti pulp della malavita locale. Infine, il tocco di genio: l’ultima uscita del giornale è il necrologio del giornale stesso, defunto assieme ad un’altra importante dipartita. A voi l’onore di vedere il film e scoprire quale.

Al termine della visione, si ha l’impressione di essere usciti indenni – o forse no – da un tornado. Recuperata un po’ di lucidità, il film prende forma e somiglia ad una chiesa con tanti ingressi, nicchie e cappelle, ma senza la navata principale. L’altare però rimane ben visibile: l’opera è consacrata al “racconto del racconto”.

Il giornale è raccontato con scelte cinematografiche che tentano di andare oltre il cinema. Possono le inquadrature somigliare, per come sono montate, a frasi scritte? Può una didascalia divenire parte integrante dell’immagine che spiega? Può un fumetto giocare con la vita e la morte dei suoi personaggi? Mentre seguiamo le vicende dei giornalisti, Wes Anderson ci racconta un’altra storia: quella immensa, liquida, trasversale, della narrazione. La narrazione come serie di ingranaggi nascosti, come forme d’arte in collisione, come continua abdicazione alla propria natura, della fissità, per raggiungere un nuovo stadio, sconosciuto.

Il mondo, passando per il French Dispatch, è stato riformulato mille volte. Secondo mille punti di vista, filtri, posizioni ideologiche e sentimenti. Forse, si tratta di un’acuta lezione sulle cosiddette “verità assolute”. E forse il cinema di Wes Anderson dovrebbe essere preso un po’ più sul serio. Sorrisi a parte.

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