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Ultima Notte A Soho: i fantasmi di Londra e della settima arte

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Che Edgar Wright ami il cinema di genere è chiaro a tutti. E Ultima notte a Soho è solo l’ultima “zingarata” nel mondo dei generi. Per l’ennesima volta, il cineasta inglese ci tratta più che bene.

Genietto pop, arruffone senza costrutto: ebbene sì, stiamo parlando proprio di quel Wright. Proprio quello della “trilogia del cornetto”, serie di film partita a razzo nel 2004 con L’alba dei morti dementi, passata per l’esilarante Hot Fuzz (2007) e terminata nel 2013 con il pazzoide La fine del mondo. Ognuno di questi film parodiava in modo sagace un genere: in primis l’horror, poi l’action e infine la fantascienza. Il punto è che i film di Wright erano fatti meglio, al netto della vena satirica, della maggior parte delle opere di genere uscite in contemporanea.

Il regista inglese, insomma, è uno che scherzando prende molto sul serio le cose che fa. Lo dimostrava anche con le altre fatiche, ovvero Scott Pilgrim vs the world e il bellissimo Baby driver. E se in quest’ultimo film dichiarava amore incondizionato per Walter Hill (Driver l’imprendibile), Ultima notte a Soho è un pamphlet sul poliamore.

Protagonista del racconto è Eloise, ragazza della provincia londinese che si trasferisce nella City per seguire un corso di moda ed inseguire il sogno di diventare un’affermata stilista. I presupposti ci sono: Eloise è una ragazza dalla straordinaria fantasia e dal gusto retrò, che sfoga nel suo amore per vecchi vinili della swingin’ London e del periodo beat. Ma cosa succede se la fantasia diviene capacità di percezione extrasensoriale? E se questa capacità inizia ad esprimersi in una casa degli orrori?

Attingendo tanto dall’armamentario gotico quanto dal filtro pop del cinema horror anni ’60 (Roger Corman, Mario Bava), Wright ci catapulta in un tumulto di specchi, manichini, neon esplosivi e sinistri black cab. Visivamente l’avventura di Eloise è abbacinante. Tanto che a un certo punto quasi non si segue più la trama, tanta è la mole di riferimenti culturali che si susseguono nella pellicola.

Come non vedere in questo film almeno tre classici di Hitchcock (Il pensionante, Psycho, La donna che visse due volte) oppure Kubrick (Lolita) e Mario Bava (Sei donne per l’assassino, Operazione paura)? Tra sogno e realtà, Ultima notte a Soho ci porta lentamente in un incubo e nel suo peggior compagno, il travisamento della realtà.

La storia di Eloise è quella di una ragazza in cerca di affermazione, ma anche del collasso delle illusioni. Wright sceglie di sviluppare questo tema attraverso il racconto della Londra anni ’60, simbolo dell’utopia che implode, generando mostri di violenza. Cosa resta di tutto quel tempo? Fantasmi, che sono più reali del reale. In fondo, proprio come il cinema, rinvigorito da una robusta dose di classici de passato.

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