Libero Stato #1 – Demoni (1985)
Libero Stato è il piccolo spazio che dedichiamo alle zone franche del web, dove è possibile vedere film gratuitamente. Per inaugurare questa nuova area, abbiamo deciso di ricordarvi che su Raiplay potete vedere Demoni di Lamberto Bava. E scusate se è poco.
Il quinto film del figlio di Mario Bava, maestro del cinema di genere, è una vera bomba. Demoni, prodotto da Dario Argento, è un bel colpo messo a segno dal cinema italiano in un periodo in cui il new horror prendeva piede oltreoceano grazie alle opere di Sam Raimi, Brian Yuzna e Stuart Gordon. Parliamo dell’ultima “fase d’oro” dell’autorialità indipendente nello scenario italiano, con esponenti come appunto Bava e Michele Soavi. Di lì a poco, il piccolo schermo diventerà l’esperienza (a)sociale per eccellenza del panorama mediatico nostrano.
Prima di ciò, però, il grande schermo riuscirà a piazzare alcune grandi chicche, come Demoni o La Chiesa (di fatto terzo episodio della saga di Demoni), ma anche con alcuni colpi di coda dei maestri, come Opera (Dario Argento, 1987) o Un gatto nel cervello (Lucio Fulci, 1990).
Demoni, comunque, si segnala per alcuni motivi lampanti. In primis, la freschezza della messinscena, che pone al centro l’orrore, squisitamente materico, in anni in cui si cominciava a manipolare l’immagine in postproduzione (vedasi il morphing di Willow). Il tutto però non rinuncia a sfumature d’ironia, che dopo Raimi – e più in là, diversamente, con Craven – sarà componente fondamentale di certo horror.
L’opera, comunque, rivela una profondità inaspettata. La storia di Demoni, infatti, è delle più semplici. A Berlino, un gruppo alquanto eterogeneo di persone riceve da uno strano figuro in maschera, un invito all’inaugurazione del cinema Metropol. Qui, mentre gli invitati assistono alla proiezione di un film horror, una donna si ferisce provandosi una maschera esposta all’ingresso. Ma la piccola ferita è solo la svolta apocalittica e sanguinaria che andrà in scena di lì a poco tra le mura del Metropol.
Quel che convince, soprattutto, è l’uso del metalinguaggio. Lamberto Bava usa uno stratagemma simile a quello usato 10 mesi prima da Woody Allen in La rosa purpurea del Cairo, in cui la storia inizia quando un personaggio sfonda la quarta parete del cinema, nel vero senso della parola, interagendo con il mondo reale. Il paradigma della commedia, però, viene rovesciato. Dal grande schermo provengono i mostri, l’orrore, la sete di sangue. Bava da sfogo alla sua raffinata voglia di splatter, ma al contempo ci descrive un cinema vivo, reale più del reale. Un cinema che mette in scena le indicibili paure insite nell’animo umano.
Va riconosciuto che Demoni si inserisce in una vasta tradizione di survival horror in luoghi chiusi. Basti pensare al centro commerciale di Zombi (George Romero, 1978) o l’avamposto antartico de La cosa (John Carpenter, 1982). Ma il film di Bava ha lasciato senza dubbio la sua eredità. E’ noto a tutti, infatti, che senza Demoni Robert Rodriguez non avrebbe mai girato quella bellezza di Dal tramonto all’alba (1996), peraltro sceneggiato da Quentin Tarantino. L’uso del mcguffin e il twist demoniaco sono le pietre angolari dell’opera del regista messicano.
Demoni, insomma, è un film da non perdere. E’ un film che ogni cinefilo dovrebbe vedere, e non parliamo solo degli amanti dell’horror, ma anche del fantasy, finemente ideato nell’ultima vera scintilla del genere.