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Il Grande Silenzio

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Il Grande Silenzio

Tempo fa accennai a “uno dei tristemente meno noti spaghetti western della storia” e come fosse “un altro articolo per un’altra volta”.

Quella volta è arrivata.

Un italiano, un francese e un tedesco entrano in un saloon.

“Il Grande Silenzio”, film del 1968 di Sergio Corbucci, con Jean-Louis Trintignant e Klaus Kinski (quasi onnipresente nel cinema italiano di quel periodo) e musiche di Ennio Morricone (giusto per non farci mancare nulla).

Mentre altri spaghetti western imitano egregiamente l’ambientazione del western classico, “Il Grande Silenzio” si caratterizza per la sua atipicità.
La prima cosa a cui uno pensa sul genere (dopo gli assurdi cappelli) è il caldo sole desertico del Texas (o Arizona). “Il Grande Silenzio” si apre invcece con montagne innevate ed è proprio nel cuore della neve che ha teatro la storia.

Qualcuno ha detto “The Hateful Eight”?
Bravi!

La passione di Tarantino per gli spaghetti-western è nota, e lui stesso ha indicato Corbucci come uno dei suoi registi preferiti e questo come uno dei suoi film più fantastici. Ci sarà un motivo.

Sempre Tarantino lo ha definito “Il Grande Silenzio” come uno dei più grandi film nichilisti. E di nuovo: ci sarà un motivo!

E ci sarà un motivo per cui vi avverto che da quì il poi si andrà incontro a SPOILER, di quelli grossi!

La Grande Frontiera.


1898 Utah. Anno del Grande Freddo a sentire il film. Un gruppo di ricercati, divenuti criminali a causa degli intrighi dello strozino e giudice Pollicut, attende l’immenente amnistia del governatore per poter abbandonare le montagne senza il rischio di divenire vittime di avidi cacciatori di taglie. Tuttavia, quando uno dei ricercati cade vittima del bountykiller Tigrero (Kinski), la vedova si rivolge al giustiziere muto Silenzio (Trintignant) per avere giustizia.

Lo spettatore ignaro prosegue la visione della pellicola senza un particolare senso di anticipazione. Non è una storia costruita sulla suspance, come in Hitchcock, se mai avesse fatto un western. Seduto sulla poltrona, con il popcorn sul grembo, il pubblico già si immagina cosa accadrà sul finale.

E sbaglia.

Il climax si conclude in un bad-ending che nessuno poteva immaginare.

Mentre il popcorn cade a terra, lo spettatore è colto da meraviglia e sbalordimento non tanto per il finale crudele e tragico.
Ma perché si rende conto che è assolutamente perfetto!

La fine della Grande Epopea

Questo film parla della “morte” del west. La fine dell’era non è raccontata come l’alba della nuova, intravista con un misto di aspettativa o rimpiato a seconda dell’opinione del regista. Corbucci mette in scena una triste morte solitaria che chiude definitivamente le porte con tutto quello di glorioso che è stato il passato, in realtà tramontato molto prima che l’ultimo chiudo della bara venisse battuto. Non importa cosa ci sarà dopo, perché in realtà non c’è nessun futuro.

Già nel corso della storia si notano delle discordanze con il western a cui si è abituati. Non si agisce di bruta forza, non si entra nei saloon ammantati di tracottanza e sicurezza al di sopra della legge. Si gioca con la legge: sia il giustiziere Silenzio che gli antagonisti sfruttano a proprio vantaggio le scappatoie legali, in modo da uccidere senza che la legge possa farci niente.

Il governatore acclama di voler fermare i cacciatori di taglie e che l’era del vecchio west è finito, non è più posto per pistoleros e bountykillers, ma solo per elettori.

A tutto ciò si contrappone l’idealismo dello sceriffo Gedeon Corbett (Frank Wolff), la linea comica del film.

Un (quasi) Grande Sceriffo

Egli condanna sia il cinismo del governatore che la spietatezza di Tigrero e Pollicut. Lui è l’uomo che crede più nella giustizia che nella legge.

Quindi, è ovvio che venga fatto fuori, quando il mondo è in realtà basato sulla capacità di essere più furbi e spietati dei propri avversarsi.

Ma in definitiva neppure questo è sufficiente.

Morto Pollicut (anch’egli in realtà un retaggio nella vecchia era), lo scontro fra Silenzio e cacciatori di taglie si conclude con la sua morte e quella di tutti i ricercati. Eppure neanche Tigrero e i suoi compari avranno ciò che sperano.

Questa carneficina in pieno stile “Il massacro di San Valentino”, ottiene lo stesso effetto che ebbe l’originale: l’indignazione pubblica portò alla condanna di un sistema che fina al giorno prima era pienamente accettato.

Niente più cacciatori di taglie.

Niente più giustizieri.

Niente più frontiera.

Un Grande Finale

Vorrei dire che ai produttori venne un coccolone quando videro il finale, ma sarebbe un’esagerazione. Tuttavia, richiesero al regista un nuovo finale, di quelli dove i buoni vincono e i cattivi perdono. Il risultato finale però fu talmente sgradito che si proseguì con quello stabilito da Corbucci.

Ho visto questo finale alternativo. In sè non mi è sembrato peggio di tanti altri.

Ma non ha lo stesso valore dell’originale.

Riporto direttamente un commento su youtube che penso sia la miglior critica al riguardo.

With this ending it would’ve been a good movie. With the other one, it’s a great movie.

/ 5
Grazie per aver votato!

Elisa Bellumori

Laureata in Lettere e Antropologia, tutto il suo piano di studi si può tradurre in cinque semplici concetti: libri, fumetti, cinema, media, pizza. Cerca di farsi strada come scrittrice. Nel frattempo vi studia e osseva. Praticamente innocua.

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