Cinema

Mank of the moon, finché il cinema rimane fantascienza

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Mank of the moon, finché il cinema rimane fantascienza

L’ho (lo abbiamo) desiderato come mai prima d’ora. E ora ce l’abbiamo: il cinema è tornato. Con la sua magia, il suo buio. Il suo pubblico mediocre, i suoi film mediocri. Non potevo (non potevamo) chiedere di meglio.

Dalla riapertura delle sale sono andato tre volte al cinema. Peraltro, l’unico attualmente attivo in tutta la provincia: disonore su di voi e sulle vostre mucche, ma soprattutto su di voi. Scherzi a parte, è una situazione patetica. I due multisala del circondario ascolano sono chiusi: uno promette l’imminente riapertura, l’altro ha abbandonato definitivamente la (di)gestione da un anno o giù di lì. A quanto pare i piccoli sopravvivono e forse questa dovrebbe essere una bella lezione (il cinema deve rimanere indipendente. In-di-pen-den-te). Via i pop corn, mangiateveli a casa vostra.

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Eh però c’è la magia! Macché. A parte il rewatch di “In the mood for love” (troppa grazia) i film in sala sono brutti. Sì, ci siamo capiti. Fanno schifo. “Nomadland”, tempestato di statuette gialle e di nobili onori a Venezia (mej cojoni, disse la marchesa) in tempi non sospetti sarebbe stato nomade nel vero senso della parola: non lo avrebbe proiettato nessuno. Non fatemi essere troppo cattivo: sarebbe pure gradevole, se non fosse che dove ti aspetti l’affondo (il lavoro interinale, la disoccupazione, la povertà, il capitalismo senza volto dell’e-commerce) ti arrivano cuscinate. Eh sì, ma Frances McDormand è brava. E allora? Ma in “Fargo” l’avete vista? Chloè Zao vorrebbe raccontare un viaggio in una terra che è tornata ad essere desolata (o forse lo è sempre stata). L’ambientazione quindi si fa “spazio”. Sì, proprio spazio, dove nessuno può sentirti urlare, o piangere, o ricordare. Ma la durezza cede al cuore di panna. E’ a quel punto che mi è venuta voglia di “Whispering star” (Sion Sono, 2015) e “Cosmopolis” (David Cronenberg, 2012). Quelli sì, recuperateli.

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“Nomadland”

E poi? Ah sì, poi c’è “Corpus Christi”. E qui proprio non ci siamo. Ci spostiamo in Polonia, dove i giovani sono geneticamente predisposti a divenire preti o amici di preti. Infatti il nostro protagonista beve come una zucchina, ammazza, si scopa lo scopabile e poi, ricordandosi che deve scappare perché sennò lo ammazzano, si imbuca in una parrocchia di paese. Qui, intriso di spirito santo, fa i meglio sermoni dai tempi della controriforma. Il tutto sfocia, inevitabilmente, nella storiella del perdono e dell’amore, e la minestra si spezia dei rancori di paese, dell’omertà e dell’ipocrisia tipici del vicinato di provincia. Ma anche qui, tutto è fin troppo buono o troppo pallonaro, senza equilibrio o maestria alcuna. E’ come se gli autori di Don Matteo si fossero visti a ruota “Fight club”. Perché apprezzare questa roba quando ci sono film come “Il sospetto” (Thomas Vinterberg, 2012) e “Midsommar” (Ari Aster, 2019)? Quando le luci tornano in sala, la voglia di pestare qualcosa, anche solo un po’ di basilico, è insopprimibile.

Mank of the moon, finché il cinema rimane fantascienza
“Corpus Christi”

Mank of the moon, finché il cinema rimane fantascienza

Sono questi però, i momenti che preferisco. Quando il cinema è mediocre, quando deve sudare per tornare in forma. Perché torneremo a sognare, a luci spente. Non sarà solo un delirio della fantascienza. Oggi guardiamo la luna, domani ci arriveremo. Aspetto con impazienza “Mank” (David Fincher), storia dello sceneggiatore spaziale, inarrivabile, di “Quarto potere”. Sogno (sogniamo) il grande cinema, perché arriverà.

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