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Voyagers…esploratori spaziali o turisti per caso?

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Oggi parliamo di Voyagers, nuovo film di Neil Burger. Sì, proprio lui: il regista di Limitless. E sì, siamo sempre da quelle parti, nel bene e nel male.

Con quali aspettative andare al cinema? Non è ben chiaro cosa aspettarsi da Burger: i suoi successi sono in gran parte riconducibili all’inserimento di Bradley Cooper (idolo sessuale delle ultime generazioni) all’interno del suo film più famoso. Ma se Cooper, in altre occasioni, si è dimostrato attore di talento (American sniper, Il corriere), il regista in questione invece è andato avanti dirigendo un episodio della serie Divergent e producendone gli altri. Altro da segnalare? No, ed è un po’ poco. Ma al cinema è meglio non andare con troppi pregiudizi.

La trama

Tossine, farmaci, freni inibitori

Il soggetto di Voyagers si direbbe interessante. In un futuro prossimo, la Terra ha esaurito le risorse e l’umanità deve trovare un nuovo pianeta da colonizzare. Nel 2063 un pool di scienziati lo scopre, e visto che per raggiungerlo ci vogliono 86 anni, si decide di inviare una trentina di ragazzi generati in provetta, i quali avranno figli fra di loro, i cui figli arriveranno a destinazione e getteranno le basi di una nuova era per il genere umano. In soldoni, si fa un’infornata di bambini, i cui nipoti colonizzeranno il pianeta.

Ad accompagnare i “voyagers” è il loro tutore Richard (Colin Farrell). Ma come si evince dal trailer, raggiunta l’età adulta i ragazzi scopriranno di aver assunto inconsapevolmente droghe che li hanno resi mansueti e predisposti ad obbedire. Questa notizia porterà tre ragazzi (Chris, Zac e Sela) a compiere delle scelte in base alla propria natura. Com’è facile prevedere, le diverse inclinazioni andranno in rotta di collisione, fino a quando una di essere prevarrà sulle altre.

Lo stile

Burger sceglie il viaggio spaziale per mettere in scena le contrapposizioni storicamente più comuni dell’umano consesso. Predestinazione e libero arbitrio, imperativo morale e volontà di potenza, salvaguardia della collettività e benessere dell’individuo: tutti questi elementi danno corpo ad una dialettica che trova la sua espressione estetica nelle luci fredde dell’astronave, nel suo dedalo di stretti corridoi, ripresi con movimenti di macchina che ricordano i carrelli di Shining (Stanley Kubrick, 1980).

Tensione nel labirinto

I ragazzi del cast fanno la loro parte. Soprattutto Fionn Whitehead nel ruolo di Zac, personaggio umbratile e vulcanico, narcisista e manipolatore. In generale, l’atmosfera diventa ben presto quella de Il signore delle mosche di William Golding: la lotta per il dominio sugli altri e sulle idee degli altri diventa incalzante.

Tuttavia, qualche problema c’è. Se l’intenzione di Burger (qui anche sceneggiatore) era di costruire personaggi ambigui in un contesto difficile da decifrare, allora ha mancato il bersaglio. Sin dall’inizio lo spettatore sa chi rivestirà il ruolo del villain. Detto questo, la storia mostra come, anche di fronte alla verità, l’essere umano sia disposto a credere ad una bugia (collettiva) per raggiungere scopi individuali.

In conclusione

In un periodo di magra, questo Voyagers si fa vedere. Potremmo vederlo come il classico prodotto medio, con alcuni difetti che non lo rendono difettoso, e qualche piccolo anacronismo stilistico (velocizzazioni e sequenze ipercinetiche a go go) che si fa perdonare. In fondo, Voyagers ha qualcosa da dire, e per farlo sceglie un’architettura tesa e coinvolgente, pur non mantenendo sempre lo stesso livello.

Andare o non andare in sala?

Scivoloni ne abbiamo? Sì: nel finale. Dopo tante vicissitudini tutto sommato apprezzabili, Burger termina il suo racconto con uno degli endings più melassosi e moraleggianti dai tempi di Minority Report (Steven Spielberg, 2002). Questo no, Burger, non te lo perdono. Ma forse si tratta di suggestioni personali. Tutto sommato questo film una visione la merita.

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