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Una “Notte del giudizio” è per sempre

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Come resistere alla tentazione di andare a vedere l’ultimo capitolo della saga di La notte del giudizio? Non lo sappiamo, perché siamo andati a vederlo.

La serie di film, scritta, prodotta e parzialmente diretta da James DeMonaco, è approdata al quinto episodio, probabilmente l’ultimo. Parliamo di una saga molto fortunata: costata poco più di 50 milioni di dollari, la cinquina di The purge ne ha incassati oltre 500. Un risultato inatteso per un prodotto così smaccatamente anti-sistema e gravido di sottotesti che puntano il dito contro gli Stati Uniti. O perlomeno contro gli Stati Uniti del razzismo, della violenza, del divario di classe.

Da 8 anni, comunque, il soggetto de La notte del giudizio è sempre lo stesso. Negli States, il crimine e la disuguaglianza dilagano, portando la convivenza e la tenuta del contratto sociale al limite del baratro. Un gruppo di “nuovi padri fondatori”, pertanto, istituisce il giorno dello “sfogo”. Durante questo intervallo, qualsiasi crimine diviene legale: è lecito rubare, stuprare, torturare, uccidere.

Ne La notte del giudizio per sempre, seguiamo la vicenda dal punto di vista di Juan e Adela, immigrati clandestinamente dal Messico in Texas per ritrovare pace e lavoro. Miracolosamente, la notte dello sfogo passa senza che ai protagonisti venga torto un capello. Il giorno seguente, però, i due scoprono assieme ai datori di lavoro (una famiglia di latifondisti) che le regole sono cambiate e che lo sfogo, da eccezione, è diventato la normalità.

L’ultimo (?) capitolo della saga restituisce all’esordiente Everardo Gout un buon inizio in cabina di regia. Ma soprattutto, il film conferma la qualità di scrittura di DeMonaco, che dopo quattro pellicole ha ancora qualcosa di importante da dire al pubblico. All’improvviso, quello che nei precedenti capitoli era solo un presagio, qui diventa realtà. Lo “sfogo” altro non è che l’anima violenta dell’America. Un’America follemente lucida. Un paese che sovverte ogni regola, aprendo definitivamente le gabbie degli animali più inferociti. Una nazione che sprofonda in una notte senza fine.

La lezione appare chiara. Ogni crimine legalizzato è tutto fuorché giustizia. E’ sete di sangue, di vendetta, ipocritamente malcelata da un’istanza di purificazione. Citando palesemente John Carpenter (Distretto 13, 1997 – Fuga da New York) e Tobe Hooper (Non aprite quella porta), La notte del giudizio mette insieme gringos e messicani, afroamericani, nazi e nativi in una lotta senza quartiere. In questa pazza corsa verso la frontiera messicana, l’autore spezza l’assioma trumpiano, mostrando cosa significhi vivere senza pace, senza un domani, senza una terra.

In conclusione

Non parliamo di un grande film, questo è chiaro. Eppure il buon mestiere, la messinscena accurata (strepitosa la ricostruzione di El Paso in fiamme) e l’equilibrio dei sottotesti rende La notte del giudizio per sempre un film della tradizione americana. Una pellicola più vicina ai classici (Il gigante, per dirne uno) che agli action senza cervello.

E, per una volta, siamo contenti che una saga abbia centrato l’obiettivo anche al botteghino.

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