Un chien andalou – Un problema di titoli

Un chien andalou – Un problema di titoli

Un chien andalou (Un cane andaluso) è uno dei film più importanti dell’Avanguardia storica del Surrealismo. È stato realizzato da Luis Buñuel assieme alla partecipazione del grande artista Salvador Dalì nel 1929. Il titolo è stato scelto intenzionalmente dato che non ha nulla a che vedere con il film. Proprio così: un titolo surreale per un film surrealista.

Titoli diversi, risultato identico

In un’intervista, lo scrittore e critico cinematografico Paolo Bertetto ritiene che siano diversi i titoli che furono presi in considerazione per il film. Uno fra questi è The Marist Valley che si potrebbe tradurre come “uno scherzo da prete”: questo perché i Maristi erano dei preti presso cui Buñuel operò i suoi studi durante la sua infanzia, e nei suoi film queste figure tornano sempre – quasi in forma di citazione autobiografica – in senso umoristico.

Un altro titolo preso in analisi fu Prohibido asomarse all’interior, ossia ‹‹vietato guardare all’interno››. Un titolo provocatorio, certo, poiché s’intende il divieto di guardare all’interno dell’inconscio dei personaggi. Questi ultimi, nel circolo degli eventi, fanno emergere tutte le loro sensazioni inconsce, celate, intrise di mistero.

Ma il titolo finale è proprio Un chien andalou. Questa scelta non risulta, tutt’oggi, molto chiara ma si possono elaborare due interpretazioni. La prima è che Buñuel e Dalì abbiano adottato questo titolo come una polemica rivolta al gruppo dei poeti Andalusi, stabilitisi nella Residencia de Estudiantes assieme ai due surrealisti negli anni ’20. In particolare la critica è rivolta contro il famoso poeta spagnolo Federico García Lorca. È curioso che quest’ultimo non abbia ignorato la provocazione dei due surrealisti – Buñuel e Dalì – e che, anzi, abbia risposto con un’enfasi degna di nota: Garcia Lorca scrive una lettera ai due artisti, e cineasti, affermando che il loro film è una ‹‹mierdecita›› (testuali parole) in cui il cane andaluso non è altri che Lorca stesso.

Una seconda interpretazione la dà sempre Bertetto, secondo cui il cortometraggio non è una polemica poetica, bensì rappresenta il percorso delle paure inconsce di Dalì e della sua formazione dell’identità sessuale. Il protagonista de Un chien andalou è eterosessuale come Dalì – al contrario di Garcia Lorca – quindi il film, presumibilmente, non è rivolto al poeta andaluso bensì ad un aspetto “altro”. Il film ha come presupposto un’analisi della coscienza dell’essere, dell’individuo, scavando nelle sue più profonde paure ed incertezze, siano esse sessuali o esistenziali.

Un chien andalou (Un cane andaluso), Luis Buñuel e Salvador Dalí, 1929 – Il taglio dell’occhio

Lo scopo del film

Da Salvador Dalì arriva la proposta a Buñuel di raccontare, nel film, i processi dell’inconscio e dei ‹‹fantasmi›› psichici che attanagliano la mente dell’individuo. Entrambi decidono di affrontare l’orizzonte del desiderio umano come mai prima d’ora nella Storia del Cinema. Buñuel accetta creando una dialettica straordinaria all’interno della cosiddetta “anti-narratività” del film assieme a Dalì. In una lettera di quest’ultimo si legge chiaramente che il film affronta apertamente la dimensione dell’inconscio, dell’immaginazione. Basti pensare alla famosissima scena in cui un uomo con un rasoio taglia di netto l’occhio di una donna, mentre nel cielo notturno una nuvola passa per un attimo davanti la luna, alludendo proprio al movimento del taglio.

Il Cinema si scopre come mezzo fondamentale per la rivelazione dell’inconscio, del sogno, del delirio. Un film che affronta tutto questo in una dimensione lontana dalla narratività “classica” del cinema moderno e contemporaneo. Un film in cui la ricerca del “senso” non è altro che una perdita di tempo. Tutto ruota attorno al polo dell’inconscio, del mistero, dell’onirismo. Il cane andaluso non esiste.

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