Cinema

Trilogia dell’evocazione, se l’indecenza è peggio dell’inferno

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Non sappiamo ancora se quella di The conjuring – l’evocazione, sia una trilogia o no. La speranza, visto il terzo capitolo, è che non ne facciano un altro.

Parliamoci chiaro: amo moltissimo i primi due film della “serie”, se così si può considerare. Più che altro parliamo di un mondo di finzione dal quale il suo creatore ha tratto numerose storie parallele. Potremmo definirlo il “James Wan horror universe”, o qualcosa del genere. Purtroppo, la storia insegna che se a girarli non è James Wan, questi film sono schifezze.

James Wan

Annabelle, The nun, La llorona. Tutti questi racconti fanno riferimento ad un comune mondo di demoni. Questo mondo altro non è che la wunderkammer di Ed e Lorraine Warren, protagonisti dei tre film de L’evocazione, al cui interno si trovano tutti gli oggetti “maledetti” da cui si dipanano storie di possessioni ed esorcismi.

La casa di produzione è sempre la New Line, che appunto ha realizzato l’intera saga di The conjuring: L’evocazione (2013), Il caso Enfield (2016) e Per ordine del diavolo (2021). Vediamoli singolarmente.

The conjuring – L’evocazione

L’esordio della saga vede James Wan all’inizio della seconda parte della sua carriera. Dopo aver avviato il franchise di Saw ed aver mostrato le proprie qualità con gioielli come Dead silence e Death sentence (entrambi del 2007), il regista malese prova a lanciare due nuovi filoni. Da una parte Insidious, dall’altra The conjuring.

The conjuring – L’evocazione (2013)

La partenza è ben al di sopra delle aspettative. Wan snocciola un horror affilatissimo, che non si perde in quisquiglie e mira al sodo, con una tensione gestita in modo esemplare, due protagonisti perfetti (Patrick Wilson e Vera Farmiga) nei panni della coppia Ed e Lorraine Warren, ricercatori del paranormale demoniaco realmente esistiti. La storia, o meglio le storie dei Warren accendono la lampadina di Wan: il materiale è potenzialmente sterminato per farne un’antologia dell’orrore.

A colpire, soprattutto, è la qualità delle immagini, prestata ad un soggetto di genere puro. James Wan si conferma fra i migliori autori dell’horror indipendente, a basso budget, ma di livello superiore alla maggior parte delle produzioni contemporanee.

The conjuring – Il caso Enfield

Passano tre anni. Wan intanto ha firmato il secondo (e bel) capitolo di Insidious e si è avviato verso un’ulteriore fase di carriera: quella dei blockbuster, che lo porterà alla cabina di regia in Fast & Furious 7 (2015) e Aquaman (2018). Nel frattempo, il cineasta trova il tempo di confezionare una nuova storia di evocazione. Una storia brillante, almeno quanto la prima, se non di più.

The conjuring – Il caso Enfield (2016)

Il caso Enfield ci porta nei sobborghi di Londra, dove regnano povertà e difficili condizioni per sorreggere una famiglia. Di nuovo il soggetto è quello della casa infestata, ma questa volta Wan sposta l’attenzione sul vissuto sociale e sulle relazioni fra i parenti stretti della persona posseduta. Sofferenza, mancanza di fiducia, sciacallaggio: tutto questo diventa protagonista di un racconto che miscela orrore e melodramma con grande equilibrio.

Ma soprattutto, ad essere convincente è la storia parallela di Ed e Lorraine. Non tanto del loro passato, ma il loro rapporto, indagato con senso del dettaglio psicologico. I Warren non sono solo una scusa per entrare in un racconto al cardiopalma. Lo spettatore, scena dopo scena, si affeziona a questa coppia, il cui legame si interseca inevitabilmente con quello della famiglia assediata dal maligno.

The conjuring – Per ordine del diavolo

Se nel titolo parlavo di indecenza, è bene chiarirlo, mi riferivo unicamente a questo film. Sono tornato al cinema con la consapevolezza di non vedere un film di Wan, ma solo prodotto dall’autore dei primi due lungometraggi. Al comando dell’operazione c’è tale Michael Chaves, già regista del brutto La llorona (2019). Ma sotto sotto, lo ammetto, speravo in un buon film.

The conjuring – Per ordine del diavolo (2021)

E cosa ti combina Chaves? Rovina tutto. Tutta l’impalcatura finemente messa in piedi nelle produzioni precedenti viene buttata giù. La storia è solo un escamotage per mettere in fila un jump scare dietro l’altro. Ma la sostanza è zero. Persino il gusto delle immagini cala vertiginosamente (le prime visioni del male sono confuse e stordenti). La fotografia è in buona parte desaturata, ma questa tecnica non viene controbilanciata da una giusta luminosità: le scene sono troppo scure, tanto che in alcune neanche si distinguono i lineamenti dei personaggi.

In una schifezza così non regge nemmeno la tensione. Sin da quando ci viene presentato, sappiamo già chi ha in serbo brutte sorprese: il colpo di scena che ci rivela l’identità del “cattivo” è tardivo e inutile. Il racconto vira verso una sfida fra bene e male che non inquieta. Gli unici ad essere terrorizzati, dopo questo film, sono i titolari dei mercatini, che avranno paura di non vendere più un oggetto usato in vita loro.

In conclusione

Partita con due film esaltanti, la saga dell’evocazione è terminata (speriamo) con un episodio orripilante, vuoto, sciatto e privo del benché minimo valore estetico. Se Wan utilizzava il museo dell’occulto dei Warren per parlare del male che si annida nella società e in famiglia, Chaves ha buttato tutto alle ortiche per fare un filmetto del ca…volo il cui ricordo svanirà nel nulla.

James Wan, Vera Farmiga e Patrick Wilson

Ed è un gran peccato. Sfruttare un “universo dell’orrore” per far lavorare registi emergenti è legittimo. Strizzare la saga solo per fare cassetta no. Fare soldi con i film non è sbagliato, e The conjuring ne ha fatti, visti i risultati al botteghino. Detto questo, si può provare a guadagnare denaro facendo qualcosa di buono. Qualcosa che intrattenga e che al tempo stesso non bruci i neuroni del pubblico.

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