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Saint Maude

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Saint Maude

Saint Maude (2019) segna il debutto sul grande schermo della regista e sceneggiatrice brittannica Rose Glass. Un inizio decisamente con il botto. Saint Maude ha entusiasmato pubblico e critica, guadagnandosi molte nomination ai festival del cinema inglese e fantastico e anche delle vittorie: due British Independent Film Awards, tre London Film Critics Circle Awards e altri tre premi al Festival international du film fantastique de Gérardmer. Direi che sul piano registico, l’abilità di Rose Glass sia già stata abbondantemente confermata da gente molto più competente di me. Ma per quanto riguarda la storia? Considerando che da qui in avanti la recensione conterà pesanti tracce di SPOILER, ci apprestiamo a valutarla.

La malattia è come un sogno

Maude (Morfydd Clark) è un’infermiera inglese che viene incaricata di prendersi cura di Amanda, una celebre ballerina e coreografa, cinica e agnostica, malata terminale a causa di un linfoma. Con il procedere del film, scopriamo che il vero nome di Maude è Katie e che è stata licenziata dall’ospedale in seguito alla morte di un paziente. Dopo quel fatto e alla fine di una spirale d’autodistruzione, la giovane infermiera si è convertita al cattolicesimo, trovando nell’idea di Dio e nella certezza che Egli abbia un piano per lei una via da seguire. Di fronte alla curiosità di Amanda sulla sua fede, ben presto il rapporto infermiera-paziente si trasforma, dal punto di vista di Maude, in quello salvatore-peccatore, portandola a imporre a Carol, l’amante di Amanda, di smettere di vederla.

Maude è omofoba?

No.

La natura della fede di Maude non è bigotta, ma punta a qualcosa di molto più elevato. Maude non è neppure latentemente lesbica come si potrebbe anche supporre da certe scene. Indubbiamente è gelosa di Amanda, ma non cerca di allontanare Carol perché la vede come una rivale romantica. Per Maude, Amanda prende l’aspetto del disegno promesso, il piano che Dio aveva in serbo per lei. Crede di essere lì per salvarla, ma allo stesso tempo cerca conferma che lei stessa è stata salvata quando ha deciso di affidarsi alla fede.

Maude è una persona sola, chiusa nel proprio mondo e noi spettori siamo rinchiusi con lei, una narratrice e protagonista il cui punto di vista è completamente inaffidabile. Il suo nome falso è per lei segno di rinascita, ma anche una necessità per trovare lavoro senza che si scopra la ragione del suo licenziamento. L’eterocromia del personaggio (e non dell’attrice) è forse un simbolo della sua condizione.

Inferno e Purgatorio

Al momento del suo licenziamento, Katie/Maude ha un completo crollo mentale. Il film non rende chiaro se questo sia avvenuto prima o dopo la morte del paziente, ma si tratta del primo sintomo della malattia mentale che divora la protagonista. Maude è affetta da dolori fisici che potrebbero essere ricondotti all’isteria e le sue tendenze autolesioniste crescono con il procedere della storia. Qualcuno ha fatto notare come l’autodeprecazione sia comunque una forma di egocentrismo, ed è questo il nucleo del personaggio.

Maude in pratica implode in sè stessa, nella attesa di un Segno. Quando alla fine Amanda le confessa di non aver mai sentito la presenza di Dio pregando con lei, reiterando la solitudine dell’infermiera, ma peggio ancora, la sua inutilità e mancanza di scopo, Maude ha un nuovo crollo mentale. Amanda le appare come un demone da abbattere, colei che sta distruggendo il disegno divino che era finalmente riuscita a scorgere.

L’incapacità di Maude di affrontare la realtà, è al contempo causa e conseguenza del suo isolamento dal mondo. È sola, ma evita le persone. Odia sè stessa, ma anche il mondo secolare che la circonda. Appare chiaro che non appartenga a nessuna chiesa in realtà. La sua fede è un’estensione della propria mente e il suo culmine è il discorso che le fa Dio, venuto a parlarle.

Nessun Dio entrerà da quella porta.

Come in uno specchio (1961) di Ingmar Bergman viene citato come una delle opere ispiratrici di Saint Maude. Entrambe le protagoniste, nel loro delirio, pensano di incontrare Dio, il quale, però, si manifesta ai loro occhi in maniera disgustosa: come ragno alla Karin di Begman, come scarafaggio a Maude. Ma mentre la prima fugge alla visione, Maude la accetta. La voce di Dio è sempre quella di Morfydd Clark, quindi si tratta sempre di Maude che parla a sè stessa, sebbene con una voce bassa, terribile e demoniaca, ben lontana dai cori angelici. Sono in molti a paragonare la scena al colloquio con Black Philip in The Witch (2015).

Nel film di Bergman, la protagonista dice “Non si può vivere in due mondi, bisogna scegliere.”. Maude ha scelto il suo mondo. Pensa di essere finalmente illuminata dalla luce divina. Pensa finalmente di avere il suo scopo. Pensa di mostrare questa luce meravigliosa al mondo.

Ma ancora una volta, la realtà è ben diversa da quello che lei crede.

Gli ultimi fotogrammi del film, quelli con Maude che brucia possono essere visti come la realtà, che lo spettatore riesce a vedere perché non più prigioniero del punto di vista della protagonista, o anche un simbolo religioso. Maude brucia all’Inferno. Non per il delitto di Amanda, unica vera martire del film. Non per aver creduto a un falso Dio scarafaggio. La vita di Maude è stata un Inferno perché ha cercato la cura del suo male nella sè stessa malata invece che nel mondo che la circondava. Non un mondo perfetto, certo, lei stessa ne rimane ferita nei momenti in cui cerca di affrontarlo. Ma vediamo che l’alternativa è molto peggio.

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Elisa Bellumori

Laureata in Lettere e Antropologia, tutto il suo piano di studi si può tradurre in cinque semplici concetti: libri, fumetti, cinema, media, pizza. Cerca di farsi strada come scrittrice. Nel frattempo vi studia e osseva. Praticamente innocua.

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