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Perché amare questa sequenza di “Batman – Il cavaliere oscuro”

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La prima sequenza, il resto non necessariamente. Cerchiamo di vedere perché questa parte di Batman – Il cavaliere oscuro (Christopher Nolan, 2008) è così interessante e regge, praticamente da sola, la credibilità di tutto il film.

La scorsa settimana noi della Fumetti Indelebili abbiamo organizzato quattro chiacchiere sul Batman di Nolan. Un film che, come tutti sapete, è anche un enorme fenomeno mediatico. In particolare ci siamo soffermati sull’idea di “realismo” che la blogosfera collega a quest’opera. In soldoni, molti fan di questo Batman lo ritengono un film “realistico”. Non solo. Gli stessi appassionati tendono ad apprezzarlo di più proprio in quanto realistico.

E’ evidente che le cose non stanno così. Ed è anche evidente che buona parte dei fan amano l’opera per il motivo sbagliato. Come dimostrarlo? Non si può. Tuttavia si può argomentare una tesi differente. Ed è quello che faremo oggi esaminando – a grandi linee – la prima sequenza di questo film. Una sequenza di rapina in banca.

“Bank heist”

Nolan inizia con un campo lungo su un grattacielo, al quale ci avviciniamo con un carrello. Una delle finestre va in frantumi, aprendo alla scena successiva, in cui alcuni rapinatori mascherati sparano un rampino sul tetto del palazzo adiacente. Già dai primi fotogrammi, capiamo da che parte ha scelto di stare Christopher Nolan. L’inquadratura di apertura infatti, è di chiara impronta hitchcockiana. In diverse opere, il maestro del brivido ha affidato l’incipit a carrelli errabondi in cerca del soggetto da “spiare”. Una finestra aperta (Psycho, 1960) o una chiusa (Nodo alla gola, 1948).

La specularità delle immagini di Nolan e Hitch in Batman e Psyco

Il tutto vi dirà ben poco, ma a ben vedere la scelta si distanzia in modo netto da una necessità di realismo. Uno dei principi del cinema drammatico, per Alfred Hitchcock, è proprio la selezione dei momenti chiave per lo sviluppo dell’azione. Lo spettatore, in altre parole, deve essere catturato e condotto da un territorio denotativo (l’immagine neutra di un palazzo) nel territorio della pura emozione. Questa concezione è esplicitamente dichiarata nel bellissimo “Il cinema secondo Hitchcock” (Francois Truffaut, Il saggiatore, 1997).

«Girare un film, per me, significa innanzitutto raccontare una storia. Questa storia può essere può essere inverosimile, ma non deve essere mai banale. E’ preferibile che sia drammatica e umana. Il dramma è una vita dalla quale sono stati eliminati i momenti noiosi. […] La bellezza delle immagini, la bellezza dei movimenti, il ritmo, gli effetti, tutto deve essere subordinato e sacrificato all’azione» (p.84, ristampa del 2019).

Traditori e traditi: una spirale di suspense

Ogni film, direte, funziona così. Tutti gli autori scelgono un punto di vista e un soggetto di partenza per raccontare la propria storia. Ed è vero. Ma Nolan, come Hitchcock, passa repentinamente da un’immagine priva di significato o colore ad una di alta tensione che suscita immediate domande. Un autore di stampo realista o neo-realista, al contrario, comincia a descrivere un ambiente ben definito nello spazio e nel tempo, iniziando la tessitura dei sottotesti. Solo dopo aver messo in chiaro il quadro generale, il regista ne trae una storia. In definitiva, il cinema d’azione, di suspense, rappresenta il dominio della fantasia sulla realtà. Il cinema realistico, invece, dà alla storia il compito di rappresentare la Storia.

Ma torniamo alla sequenza. Subito dopo ci viene presentato Joker, di schiena, con una maschera in mano. La citazione hitchcockiana si rafforza: qui Batman cita chiaramente Marnie (1964). La ripresa di spalle è, per sua stessa natura, regina del racconto di mistero. Essa cela deliberatamente l’identità del soggetto e lo spettatore, in cerca di risposte, comincia a darsene (spesso ingannandosi). Un’opera realistica avrebbe negato volutamente un fatto reale allo spettatore? Non è forse vero che, in luogo di un fatto, Nolan ci trasmette un desiderio (di conoscenza)?

Joker, il terrorista

Il misterioso Joker si mette la maschera ed entra in macchina. I rapinatori del grattacielo si lanciano, tenendosi con la corda del rampino, e atterrano sul tetto della banca. E l’inizio di una sequenza a montaggio alternato, ciascuna delle quali procederà verso un momento comune, in cui i due gruppi si riuniranno per la fuga finale. Prima di ricongiungersi, però, tutti i rapinatori cadranno vittima di sé stessi, perché Joker ha promesso loro la fatidica “metà della fetta”.

L’idea di Nolan è quella di descrivere, con questo continuo stravolgimento del fronte, il personaggio di Joker. E’ Joker l’artefice della manipolazione collettiva che induci gli uni a tradire gli altri. E’ Joker che, improvvisando, inganna il suo compagno a credere che il banchiere armato abbia finito i colpi, facendolo morire sotto il fuoco nemico. Ma non finisce qui. E’ Joker che ribalta la trappola del suo complice, facendolo investire da un autobus.

Da questo quadro apparentemente apocalittico emerge la figura di un manipolatore geniale, capace di calcoli minuziosi come di lampi di pura follia estemporanea. Ovviamente, c’è un prezzo da pagare: il realismo.

La concatenazione degli eventi, infatti, ha messo in scena una grande moltitudine di elementi narrativi. Questi elementi funzionano perfettamente nello sviluppo dell’azione. Non funzionano, o funzionano poco, se analizzati singolarmente. Come fa Joker a sapere che il banchiere sparerà tutti i colpi meno uno? Come fa a sapere che ucciderà due dei suoi complici? Il denaro da rubare è in quantità industriale: quanto tempo passa prima che le borse vengano tutte riempite In che modo Joker ha potuto calcolare la posizione del suo complice quando viene investito dall’autobus? E i tempi di arrivo? E come ha fatto a organizzare una fuga mimetizzandosi nella fila degli autobus? L’ingresso – non proprio impossibile da notare – di un autobus in una banca non avrebbe potuto causare modifiche alla viabilità? Questo incidente non avrebbe potuto indurre un altro autista a fermarsi?

L’inverosimile fuga con lo scuolabus

Sia chiaro. Se pongo queste domande non è per demolire la sequenza. Bensì per esaltarne l’aspetto immaginifico. Attraverso questa scena, il vero Joker del film (Nolan) inganna tutti, giocando continuamente sul filo della sospensione dell’incredulità. Se lo spettatore crede a questa scena, sarà disposto a credere a tutto il resto. Dirò di più. E’ questa sequenza a reggere l’intera opera, nei suoi momenti più felici e nelle sue cadute di stile. L’idea che tutto possa muoversi per volere di un genio del crimine permea l’intera visione. Il villain usa gli altri personaggi in modi inconcepibili: un po’ come accade al protagonista del Conte di Montecristo. E proprio ricalcando il personaggio di Alexandre Dumas, l’inganno ci viene servito, in Batman, senza tante giustificazioni. L’illusione è in tavola, buon appetito con il grande cinema.

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