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Old, la sottile sfumatura fra vecchio e antico

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Quando escono film come Old, che segna il ritorno in sala di un autore come M. Night Shyamalan, un amante del cinema non può che essere contento. Anche un maestro, però, può rimanere impigliato nel groviglio dei propri peggiori difetti. E’ questo il caso?

Ciò che è vecchio, si sa, non è detto che sia di valore. L’antico, al contrario, va preservato, perché è dal suo sviluppo che sbocciano nuove originali opere. Senza il rispetto dei classici, in poche parole, il cinema diventa una trottola impazzita. Ingestibile.

La trama di Old vorrebbe essere semplice, ma finisce per complicarsi strada facendo. E questo non è un buon segno. Una famiglia decide di passare le proprie vacanze in un lussuoso resort, fra comodità e contatto con la natura. Il direttore della struttura propone alla famiglia di recarsi in una delle spiagge vergini dell’atollo. I quattro accettano e a loro si unisce un altro nucleo familiare. Una volta arrivati, però, i villeggianti scopriranno che in questo paradiso le leggi dello spazio-tempo non sono le stesse. La scoperta e le relative implicazioni faranno emergere il vissuto dei personaggi, i loro problemi, finché alcuni membri del gruppo prenderanno una drastica decisione…

Da questo soggetto, tutto sommato interessante, l’autore de Il sesto senso e The village trae una pellicola sbilanciata, che mostra alcuni punti di forza del regista, senza però amalgamarli adeguatamente nella storia.

Sin dalle prime scene, notiamo che Shyamalan, in Old, si muove con padronanza del mezzo. Cura nei dialoghi, regia tesa ed aderente ad una suspense palpabile. Gli sguardi e i comportamenti cambiano a seconda della situazione e dell’interlocutore. La macchina da presa documenta con gusto, facendoci conoscere sommariamente anche gli altri personaggi della storia.

I problemi sorgono nello sviluppo della trama e, soprattutto, nella parte finale. In particolare l’epilogo, agli occhi di chi scrive, pare incomprensibile ai fini narrativi. Durante la permanenza sulla spiaggia, i personaggi sono testimoni di accadimenti assurdi, spesso orripilanti, che sconvolgono il naturale svolgersi delle loro vite. Parallelamente, i conflitti irrisolti dei characters emergono, ma sempre attraverso linee di dialogo che banalizzano il racconto. Le dinamiche, specialmente in questa fase, avrebbero avuto bisogno di silenzi (vedasi Avventura di Michelangelo Antonioni) o immagini e colori evocativi (come in Magnifica ossessione, di Douglas Sirk).

Ma le magagne, in Old, non finiscono qui. L’uso del background dei personaggi risulta eccessivo: uno statistico ragionerà sempre in termini numerici, la dipendente di un museo dovrà dare per forza il suo parere sugli stati di decomposizione di un cadavere. La regola hitchockiana, in questo senso, parla chiaro: bisogna sempre usare il retroterra dei personaggi per dare impulso all’azione. Qui, però, questa “norma” viene interpretata in modo ridicolo.

Anche la regia sembra risentirne, e nella parte centrale l’unità di luogo e d’azione si perdono. Shyamalan dà spazio a campi lunghi, zoom dall’alto e piani sequenza che esulano dal punto di vista dei personaggi. Lo spettatore, in questo modo, si allontana dal dramma.

Il guaio maggiore, però, risiede nel finale. Dopo un’ora e mezza vissuta in un clima sovrannaturale, tutto si spiega con una soluzione “scientifica” e con un complotto lobbistico da quattro soldi. L’opera, che in partenza poteva essere accomunata a L’angelo sterminatore (Luis Bunuel, 1962) termina come il peggiore dei b-movie. Da surreale e folle, Old diventa sin troppo comprensibile. La meraviglia si dissipa, lo spettatore sprofonda nella sua poltroncina, contando i minuti, i secondi.

In conclusione, che dire di questo Old? Che abbocca ai tranelli più vecchi della narrazione, raccontando una storia la cui metafora viene compresa troppo presto, e in modo poco significativo. Lo stesso Shyamalan incappa nelle sue storture più tipiche: se non dosata, la sua arte manipolatoria (notevole, altrove) finisce per ritorcersi contro il film. Il risultato è una congerie di soluzioni noiose, a volte pacchiane. A tratti, il genio e la sensibilità del cineasta vengono fuori (il corpo prosciugato dal calcio, la morte di un personaggio sul bagnasciuga), ma onestamente è troppo poco per un regista tanto esperto nelle illusioni della settima arte.

I migliori film di Shyamalan vivono di sovrannaturale, di suspense ed enigmi. Essi affondano le radici nella più antica magia del cinema. Speriamo che Old, in questa carriera, rappresenti solo una passeggera botta di senilità.

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