Occhiali neri non è lo schifo che pensate
Occhiali neri, ultimo film di Dario Argento e da poco uscito al cinema, non è lo schifo che pensate. Dopo la visione mi sono preso qualche giorno per sentire opinioni qua e là. Una buona fetta di youtuber lo ha tempestato di critiche negative, e onestamente non ne capisco il motivo. O meglio, forse lo capisco, ma sicuramente non lo condivido. Proviamo a spiegarci meglio.
Prima di Occhiali neri, Argento era uscito, nove anni fa, con Dracula 3D. Un lungometraggio che di fatto ha finito di affossare la carriera di un regista che in pochi anni ha cambiato la poetica, l’estetica e l’industria cinematografica italiana. Per il maestro dell’horror quindi, ci si sarebbe aspettato un ritorno in grande spolvero. Non tanto dopo Dracula, ma dopo Il cartaio e La terza madre.
Occhiali neri è la storia di una escort romana (Ilenia Pastorelli) che viene perseguitata da un serial killer di prostitute. Durante un inseguimento in auto, la donna ha un incidente e perde la vista. Ma la caccia è tutt’altro che finita. Fine. Il soggetto è tutto qui, e d’altronde Occhiali neri dura 80 minuti, quindi partiamo da un copione ben proporzionato al minutaggio. C’è chi ha detto che Argento ha finito di rincoglionirsi. Che è durissima arrivare alla fine del film. Che il regista non ha più niente da dire al cinema. Tutte idiozie.
A questo punto però devo dire che anch’io sono rimasto deluso da Occhiali neri. Perché sarebbe bastato veramente poco per farne un gran film. Invece il risultato è semplicemente poco riuscito nel complesso, anche se si capisce dove Argento volesse andare a parare: all’incubo di una persona menomata che deve salvarsi. Alla tristezza della solitudine in cui è relegata un’esistenza alla quale, alla fine della fiera, non rimane più niente.
L’impressione però è che Argento si sia contenuto troppo. Alcune scene – come quella nella palude con i serpenti – suggerisce la presenza di una morbosità ispirata. Tutta la sequenza nel bosco, nella sua lentezza, è perfetta. La Pastorelli, pur essendo un’attrice mediocre, riesce ad essere credibilissima nei panni della escort non vedente. Ovviamente la trama subisce i classici svarioni presenti nei film di Argento. Ma le opere di questo regista funzionano ad un livello diverso da quello logico. Profondo rosso, Suspiria e soprattutto Inferno, sono racconti del terrore, in cui la logica degli schemi quotidiani rimane continuamente sotto scacco.
Il cinema di Argento è la sua putrida materia, il suo sangue, i suoi colori. E’ la tensione che scaturisce dal confronto con ciò che ci ripugna. Cosa importa se il serial killer sembra un cretino? Ad Argento non interessa metterne in scena la patogenesi. L’assassino è solo una delle tante tessere che compongono il mosaico. Un mosaico che vive di vita propria senza dover per forza avere un senso comune. Possiamo capire veramente la follia di un uomo che trucida delle innocenti? No. E allora anche l’assassino di Argento, costruito con le regole di Argento, ha perfettamente senso.
Il punto critico del film è un altro. Proprio quando l’autore comincia a spingere, si ferma. Proprio quando ne avremmo voluto di più. Invece Argento sembra essersi trattenuto. E il risultato è un film strozzato, che ciononostante merita la visione. La merita perché ci sono scene di incidenti degne di tale nome (fatte con gli stuntman eh, mica con i pixel). Perché Argento è tornato con un film che non dà spiegazioni, che dichiara il proprio amore per il cinema muto. Per ciò che è orribile e al tempo stesso grottesco.
Le maggior parte delle critiche a questo film sono il riflesso di un pubblico che non sa più pensare al cinema. Che si concentra sulle cazzate, anziché sulla narrazione, sulle scelte stilistiche. Un pubblico di spettatori che sanno solo irridere e ai quali non importa nulla del cinema. A tutti questi mi sento di dire: provate a togliervi gli occhiali neri che indossavate mentre guardavate questo film. Perché sì, l’impressione è che il film non l’abbiate proprio visto.