Cinema

Monografie: Juan Antonio Bayona, la promessa dell’impossibile

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Primo appuntamento delle monografie! In questa nuova rubrica, analizziamo l’opera omnia di registi blasonati e meri sconosciuti. Autori che ci hanno fatto sognare con invenzioni fantastiche e storie dell’altro mondo. Iniziamo con Juan Antonio Bayona, cineasta che ha all’attivo appena quattro lungometraggi, ma che ha già dimostrato di sapersi muovere nell’immaginario dark fantasy con rara maestria.

Classe 1975, di Barcellona, Bayona fa parte della scuderia spagnola che ha segnato la rinascita del cinema spagnolo post Franco. Anzi, data la “giovinezza” dell’esordio (risale al 2007), per Bayona si può parlare di una seconda generazione, dove la prima sarebbe rappresentata da tutti quei registi ispanofoni (De La Iglesia, Balaguerò, Del Toro, Inarritu, Cuaron) nati e cresciuti sotto l’egida di Pedro Almodovar.

J. A. Bayona sul set di A monster calls

Fantascienza, fantasy, horror, realismo magico. Sono queste le principali aree d’azione delle più interessanti produzioni spagnole e messicane degli ultimi 25 anni. Bisognoso, come altri, di una nuova base culturale, Bayona lavora sul fantastico e sull’orrore. Aderente ad una poetica dell’innocenza e della colpa, il regista catalano sa calarsi con grande sensibilità nel mondo dei più giovani. Cercando l’impossibile, il mostro, la crescita personale.

The orphanage (2007)

La carriera cinematografica di Bayona si apre con un’opera prodotta dal grande Guillermo Del Toro. Il regista messicano, lo ricorderemo fino allo sfinimento, è uno dei pochi autori ad aver creato una factory di genere, dando la possibilità a talenti artistici di emergere. Il film, ancora poco conosciuto (sigh!) da noi, ha invece spopolato in Spagna, dove ha anche vinto sette premi Goya (regista esordiente, sceneggiatura originale, produzione, scenografia, trucco, sonoro, effetti speciali).

The orphanage

Il soggetto è tra i più classici del genere: una madre indaga sulla scomparsa del proprio bambino e sulle circostanze sovrannaturali che hanno accompagnato questo scioccante avvenimento. Bayona mostra subito le proprie doti, non concentrandosi tanto sulla trama in sè, ma sui rapporti familiari e sul passato dei personaggi, che tornerà a galla nel più spietato dei modi. Il thriller horror è molto “europeo”, ed anzi mostra con orgoglio la parentela con Lucio Fulci (Sette note in nero, 1977). Prendendo spunto dai classici del genere, l’autore però mette subito in chiaro quali sono i suoi punti d’interesse: la fiducia in sè e nel prossimo, le relazioni familiari, l’illusione autoinflitta. Un grande esordio e tanto spettacolo per gli amanti del cinema.

The impossible (2012)

Ci vogliono cinque anni prima che Bayona torni fra i crediti di un lungometraggio. L’attesa però è ben spesa. Il regista catalano riesce ad inserire due nomi di richiamo come Naomi Watts e Ewan McGregor in una produzione spagnola: operazione non da poco. Il film è The impossible, storia di una famiglia sopravvissuta al tremendo tsunami che, nel 2004, colpì la costa thailandese, causando la morte di centinaia di migliaia di persone, distruggendo la civiltà.

The impossible

Bayona si sposta sul catastrofico. E lo fa con classe. L’autore evita le trappole del genere, come l’eccessiva spettacolarizzazione dell’evento, l’aggravio di eroismo e gli stereotipi. Ma c’è di più. Innanzitutto, abbiamo una prima parte letteralmente da urlo. Tutta la sequenza di arrivo e di preparazione al maremoto è costruita su sensazioni, piccoli presagi. Poi, quando l’impossibile avviene, esplode in tutta la sua carica visiva. Violenza, lirismo, suspense: la ricostruzione del mondo post-tsunami è a dir poco spettacolare. La seconda parte del film rallenta un po’, mostrando comunque grande equilibrio delle dinamiche fra caratteri, nonché un certo gusto per il neorealismo italiano.

Il buon catalano, in definitiva, ci consegna una pellicola intelligente, visivamente ben costruita, toccante senza essere melensa. Sicuramente uno dei migliori catastrofici di sempre.

A monster calls (2016)

Per la terza fatica, Bayona torna a farsi produrre da Del Toro. Oramai il regista ha raggiunto la propria maturità, sia estetica sia tematica. La sua passione, è chiaro, è il difficile rapporto fra interiorità e mondo esteriore. La condizione dell’essere umano, per Bayona, è quella dell’emarginato. Di colui che non si accetta e quindi non accetta l’esistenza. L'”impossibile” è, in questo senso, il trauma della vita stessa. Qualcosa che non viene accettato. Qualcosa che, se non viene riconosciuto, genera mostri.

A monster calls

E questo è proprio ciò che accade con A monster calls (in Italia Sette minuti dopo la mezzanotte). Un mostro si rivela al piccolo protagonista della storia, che nel frattempo vive con sofferenza la malattia terminale della madre. In un continuo gioco di ribaltamenti, ciò che è buono non lo sarà per molto. Ciò che è cattivo, mostrerà altro di sè. Il viaggio interiore, in questo nuovo lungometraggio, tocca livelli personalissimi. A monster calls convince soprattutto perché mette in discussione la presunta innocenza di un bambino, attribuendogli la dignità che merita un vero personaggio. Quando il cinema per ragazzi è tutt’altro che infantile.

Jurassic world – Fallen Kingdom (2018)

E siamo alla fine. Ma speriamo che non sia la fine del viaggio artistico del nostro Juan Antonio Bayona. Sarebbe un peccato se il cineasta concludesse la propria carriera con questo Jurassic world – Il regno distrutto. Il secondo capitolo della nuova saga spielberghiana, infatti, bissa l’insuccesso artistico del primo episodio. La scelta di Bayona non migliora le sorti del lungometraggio, che a differenza dei film precedenti è infantile, abbozzato, maldestro. Goffo anziché divertente, inconcepibile nel presunto impegno sociale.

Jurassic world . Fallen kingdom

Bayona si ritrova con uno script realizzato da Colin Trevorrow, mediocre esecutore dei capricci di zio Steven. E come spesso accade nelle produzioni di Spielberg, la sceneggiatura è tagliata con l’accetta per paura di annoiare. Il ritmo è incalzante, ma la storia e il background dei personaggi è ridicolo. In tutto questo, l’ingresso di Bayona non aggiunge niente. Spielberg fagocita qualsiasi velleità artistica del nostro, di cui prende solo alcuni elementi tipici (l’evento catastrofico, la crescita del bambino) imbrigliandone la poetica per pure esigenze commerciali. Il risultato è una totale idiozia, che non ha alcun motivo di esistere, tranne il vil denaro.

Conclusioni

Con questa prima avventura nelle monografie, abbiamo scelto un autore relativamente giovane, che ha già mostrato di volere dire tanto, e che speriamo abbia la possibilità di farlo. Juan Antonio Bayona è un vero talento, capace di mettere in scena idee originali all’insegna dell’intrattenimento e della riflessione. Al netto dell’unico scivolone, l’auspicio è di tornare a vedere il suo “impossibile”. La promessa è ancora tutta lì, da mantenere.

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