Film d'animazione

Lavorare lavorare preferisco “La canzone del mare”

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Essere sconosciuti ai più è la caratteristica di opere insignificanti o, viceversa, meravigliose. “La canzone del mare” appartiene alla seconda categoria.

Raramente mi è capitato di vedere un film in cui l’autore, l’irlandese Tomm Moore, fosse così innamorato della sua creazione. Amore che si sprigiona inquadratura dopo inquadratura, che viene fuori dalla cura dei dettagli e dalla visione sottesa.

L’opera narra la storia di due bambini, Ben e Saoirse, che scopriranno il loro legame di fratello e sorella attraverso un’avventura che rivelerà la loro natura e un mondo nascosto. Un mondo magico, costruito sulla mitologia celtica. Attorno ad un intreccio semplice – ma non esile – è il contesto a farsi carico della storia. L’ambientazione, infatti, fa costante riferimento alle leggende del mondo naturale, messe in scena con uno stile particolarissimo.

“La canzone del mare”: un’onda anomala di dettagli

Moore, infatti, riesce ad amalgamare personaggi tridimensionali a sfondi o elementi a due dimensioni. La delicatezza del tratto usato per i protagonisti si muove su una cornice in cui viene riversata una deflagrante fantasia di codici, forme e colori. Scogli triangolari, luci di lampade a olio disegnate con trattini statici. Linee formicolanti e acquerelli. “La canzone del mare” si fa (im)possibile punto d’incontro fra la pittura en plein air e il fauvismo.

Lo so, dilungarsi troppo è controproducente. Questo film non lo dovete mancare. Bisogna che lo viviate disegno dopo disegno.

Anche per la storia, che viene incarnata dai nostri due piccoli eroi, in un mondo sommerso che è quello delle emozioni. Il rapporto fra fratelli, l’elaborazione del lutto, l’intromissione nello sviluppo interiore vengono indagati con una grazia eccelsa. Fra creature fantastiche e una magnifica colonna sonora, anch’essa mutuata dalla tradizione irish.

Peccato per l’Oscar. “La canzone del mare” venne presentato nell’anno di “Big hero 6” e “Storia della principessa splendente”. Ma la bellezza di un’opera non si misura dal successo che riscuote. La si ricorda, viceversa, nel momento del bisogno: quando tutto attorno è alienazione e alcune corde dell’animo necessitano di essere suonate.

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