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L’Amleto nel Cinema

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L’Amleto nel Cinema

L’iconica, e famosissima, tragedia shakespeariana dell’Amleto risale al 1602 circa.

Per tutti questi secoli è stata a lungo tramandata e riproposta sotto ogni chiave di lettura e punto di vista, sia nel Cinema sia, specialmente, a Teatro – enfatizzandone o alterandone i contenuti (si pensi a Shakespeare in Love del ’98, ad esempio).

Con quest’articolo si vogliono analizzare tre punti di vista cinematografici, completamente diversi l’un dall’altro, a proposito della battuta-chiave – senz’altro la più classica e riconoscibile; – di Amleto dell’Atto III, Scena I: sulla tomba del padre, recita le famose parole

«Essere o non essere, questo è il problema […]».

Amleto (Atto III, Scena I), William Shakespeare (1564, Stratford-upon-Avon -1616, Stratford-upon-Avon)
William Shakespeare (1564, Stratford-upon-Avon -1616, Stratford-upon-Avon)
L’Amleto nel Cinema William Shakespeare (1564, Stratford-upon-Avon – 1616, Stratford-upon-Avon)

Prima d’iniziare, è bene ricordare che il monologo in questione rappresenta il punto massimo della maturità shakespeariana. Nonché, si tratta di un monologo intimo che il Principe di Danimarca, Amleto, rivolge sì a sé stesso, ma è come se si rivolgesse universalmente alla coscienza umana.

Lawrence Olivier

Una fra le prime e più importanti trasposizioni del monologo, e della tragedia, è senz’altro quella di Laurence Olivier che nel 1948 esordisce alla regia e anche come attore vestendo i panni del protagonista Amleto.

Il monologo si ambienta in una dimensione “altra”, quasi onirica, in cui mediante numerose dissolvenze incrociate e “al bianco”, si manifestano delle immagini che alludono ad una dimensione ineffabile e fumosa.

Hamlet (Lawrence Olivier, 1948)
L’Amleto nel Cinema Hamlet (Lawrence Olivier, 1948)

L’Amleto nel Cinema

Molte di queste ricordano le trame del cervello umano, assieme a numerosi cumulonembi sfumati da una tersa nebbia biancastra.

Il protagonista è totalmente assorto nelle sue parole, incurante dell’ambiente circostante. Olivier propone dunque una smaterializzazione dello spazio, per convogliare sia la mente di Amleto che quella dell’osservatore in una dimensione che ha tutte le caratteristiche di un viaggio mentale.

Franco Zeffirelli

Ben diversa è la trasposizione di Franco Zeffirelli nel 1990 in cui uno strabiliante Mel Gibson, vestendo i panni del principe di Danimarca, dimostra delle grandi doti attoriali unendo rammarico e dramma in una scena unica nel suo genere.

Qui si ha una presentazione più classica del monologo, molto più legata alla realtà della finzione scenica.

Infatti, Amleto si trova nella cripta del castello di famiglia, adagiato sulla tomba del padre mentre recita le famose battute, assorto nel dramma della sua mente. Intorno a lui il silenzio spettrale delle catacombe.

Hamlet (Franco Zeffirelli, 1990)
Hamlet (Franco Zeffirelli, 1990)

Insomma, un’interpretazione del tutto diversa da quella di Olivier. Zeffirelli traspone la tragedia con efficace realismo, riportando il tutto ad una dimensione Medioevale senza tralasciare qualche tocco di scuola Neorealista.

Kenneth Branagh

Infine, la trasposizione di Kenneth Branagh del 1996 è senz’altro la più completa e attinente al testo originale.

Ma essa presenta comunque una grande e rilevante particolarità. A differenza dei due precedenti film, in cui l’ambientazione rispetta e richiama quella Medioevale della tragedia originale, qui Branagh decide di ambientare il tutto nell’ ‘800 inglese, adoperando gli stessi abiti di quell’epoca.

Anche lui, come Olivier, svolge il ruolo di regista e attore nei panni di Amleto, offrendo una prova di recitazione quasi senza pari del famoso monologo, stavolta dinanzi uno specchio.

Una delle migliori trasposizioni della tragedia: Amleto dialoga con sé stesso, con la sua stessa mente. Lo specchio è solo un tramite per uno dei monologhi più importanti e famosi della Storia.

Hamlet (Kenneth Branagh, 1996)
Hamlet (Kenneth Branagh, 1996)
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