La casa in fondo al lago è bene che resti dov’è
Ogni anno cinematografico ha i suoi momenti tipici: il miglior film, il peggiore, la rivelazione, la delusione. La casa in fondo al lago è probabilmente il film che più deluderà i cinefili nel 2021.
Scritto e diretto dal duo Alexandre Bustillo e Julien Maury, e con un titolo tanto ammiccante, l’uscita in sala de La casa in fondo al lago prometteva bene. Bustillo e Maury, per capirci, sono gli autori di Inside – A l’interieur, con il quale esordirono nel 2007. Con quel debutto, i due francesi sembrarono pronti per inserirsi nella new wave di horror che ha investito il cinema transalpino agli inizi del millennio. Cineasti come Alexandre Aja, Christophe Gans e Pascal Laugier apparvero come i nuovi profeti del genere. Inside, infatti, si pose all’attenzione della critica per la morbosa poetica con cui veniva descritta l’esperienza del parto, attraverso la solitudine, le paranoie e una violenza finale dall’inaudita energia.
Ma di quell’ondata, oggi, è rimasta solo una lontana eco. Come molti colleghi, anche Bustillo e Maury hanno deciso di darsi al mainstream più bieco, e La casa in fondo al lago ne è la conferma finale.
La storia si svolge nella provincia francese, boschiva e lacustre: una coppia di giovani youtuber cercano un luogo incontaminato dove fare immersioni e scoprire segreti per portare in alto il proprio canale. I due vengono indirizzati da un uomo di mezza età, che li porta in riva ad un lago generato a seguito di un’alluvione. In fondo allo specchio d’acqua, infatti, giace una casa sommersa e abbandonata. E’ superfluo dire che la coppia seguirà il suggerimento dello sconosciuto, inoltrandosi in un luogo nel quale sono attesi da tremendi pericoli.
Chiariamo subito una cosa. Non si possono giudicare film di questo tipo semplicemente dalla qualità del soggetto. Quasi sempre, la storia di una pellicola di genere è una scusa per mettere in scena suspense e orrore: il regista pertanto usa una traccia banale per mettere in mostra il proprio stile. Sulla trama de La casa in fondo al lago, però, c’è bisogno di dire due paroline. Non si può costruire una storia in cui le situazioni problematiche sono così tante e aggrovigliate. I protagonisti infatti devono vedersela con le insidie di un’immersione (1), nella casa di una famiglia di serial killer (2) satanisti (3) che ovviamente è stregata (4). Non vi sembra di esagerare?
Ma c’è qualcosa di ancora più importante: lo stile. Il film è pieno di citazioni, da Ruggero Deodato a Lucio Fulci fino a Wes Craven. Innumerevoli gli omaggi, da Poltergeist a Peeping Tom. Di tutti questi alti riferimenti, però, non si coglie l’essenza principale. La casa in fondo al lago è un film che patisce la crisi di un’identità frammentata e incoerente. I registi passano da un punto di vista all’altro, utilizzando piccole videocamere come fossero soggettive (e non lo sono). A ciò si aggiungono riprese impersonali e poi il punto di vista del drone subacqueo. Il problema di questa scelta è semplice: se non si adotta una scelta narrativa, il pubblico ne esce disorientato e finisce per allontanarsi dai problemi che affliggono i personaggi.
E proprio nella costruzione dei personaggi risiede la nota più dolente. I caratteri, infatti, non esistono. Dopo brevi cenni iniziali, infatti, la storia si sposta sott’acqua, dove veniamo sballottati da un point of view all’altro: i due semplicemente scompaiono dalla scena, per lasciare tutto lo spazio alla tensione. Anche questa, però, da insostenibile diviene piatta. La sceneggiatura vira al farsesco: nessuno si immedesimerebbe nei due personaggi, e nemmeno nelle loro scelte a dir poco sciagurate e incoscienti. Verso la fine, quando il film sembrerebbe voler parlare di paure nascoste e traumi rimossi, è troppo tardi. Allo spettatore non frega più niente e spera soltanto che la coppia trovi la morte per andarsene dal cinema.
Da un cinema, quello horror, che vorrebbe essere inquietante e che riesce ad essere solo un’opprimente massa d’acqua.