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Da Tolkien a Jackson, il grande ritorno dell’epica fantasy

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E’ innegabile: la più importante rivoluzione nel cinema fantasy la si deve alle opere di J.R.R. Tolkien. Ovviamente, nella trasposizione di Peter Jackson, che pur prendendo le distanze da alcuni assi narrativi dello scrittore britannico, ha avuto il merito di conferire un’inaspettata profondità al racconto fantasy.

J. R. R. Tolkien ci lasciava 48 anni or sono, ma vogliamo ricordare la sua eredità nella settima arte anche per un altro anniversario. Venti anni fa, infatti, usciva in sala il primo episodio de Il signore degli anelli, ovvero La compagnia dell’anello.

Il signore degli anelli (2001-2003)

Che mondo è quello di oggi, in cui si torna a parlare dell’opera tolkeniana? Un mondo che ha ampiamente storicizzato la monumentale fatica letteraria e soprattutto filmica. Un pubblico che anche nel linguaggio comune cita le battute de Il signore degli anelli senza tema di rimanere incompreso. La prima trilogia tolkeniana di Peter Jackson, in altre parole, è entrata nella cultura di massa. Al pari di Un americano a Roma, Via col vento, Titanic, o forse più di questi film, Il signore degli anelli può vantare forse l’ultima grande interiorizzazione collettiva di un prodotto cinematografico.

E d’altronde se ne capisce il perché. In circa 12 ore di girato (divenuto oggetto di montaggio, le ore complessive sono molte di più) il regista neozelandese condensa uno spettro di emozioni, situazioni e stilemi della drammaturgia contemporanea che è difficile ritrovare altrove. La compagnia dell’anello, Le due torri e Il ritorno del re sono, in questo senso, un enorme affresco dalla valenza epica. A buon diritto si deve parlare di “epos”: Il signore degli anelli non è solo una panoramica a volo d’uccello, né un piccolo spaccato individuale. Esso riesce ad essere entrambe le cose: un humus ricchissimo per lo sviluppo dei singoli personaggi, nonché un enorme algoritmo di destini che finiscono per intersecarsi, formando una magnifica tela di cui non si scorgono i confini.

Certo, le differenze con il testo di partenza ci sono, e si notano. Più di tutto, è evidente lo stampo “europeo” dell’opera letteraria, sia nel ritmo impresso alla narrazione, sia per le atmosfere cupe, sia per le tematiche che percorrono trasversalmente la storia. Nell’opera di partenza, infatti, è palpabile il senso di paura e smarrimento dovuto alla percezione di un grande male. Un aspetto toccato anche nel film, ma che non influenza in modo portante lo stilema di Jackson, che preferisce regalare momenti di – bellissimo – spettacolo al pubblico.

Lo hobbit (2012-2014)

A differenza della trilogia precedente, quella de Lo hobbit ha avuto uno scarso successo di pubblico e critica. Intendiamoci, al botteghino i numeri sono stati sempre molto alti. Ma la sensazione è che Lo hobbit abbia diviso gli spettatori, cosa che Il signore degli anelli ha sapientemente evitato e continuerà ad evitare.

Il motivo è chiaro. Lo hobbit non era fatto per essere una trilogia. Il testo di partenza è visibilmente troppo piccolo per un adattamento su vasta scala come le avventure di Frodo e Aragorn. Lo hobbit inoltre è un progetto che soffre in partenza, con la regia assegnata prima a Guillermo Del Toro e poi ripresa dallo stesso Jackson. Ciononostante, e tenendo presente i difetti, questa trilogia rimane a suo modo appassionante.

Jackson infatti continua a sbizzarrirsi con effetti speciale meravigliosi e ben calibrati sull’avventura. Ad essere protagonista, oltre il buon Bilbo, è la dinastia dei nani, costretti a girovagare in un esodo che li vede senza terra e senza scopo. Qui e là, è vero, sono presenti delle lungaggini che però, nella maggior parte dei casi, non irritano.

Come scrisse un noto traduttore de Il conte di Montecristo a margine dell’opera, nel romanzo d’appendice di Dumas si può ritrovare un grande romanzo. Ne Lo hobbit si può adottare lo stesso ragionamento: il prodotto finale mette insieme troppi elementi, e non sempre riesce ad amalgamarli. Tuttavia, il gioco vale la candela: che si tratti di Un viaggio inaspettato, La desolazione di Smaug o La battaglia delle cinque armate, nella trilogia di Jackson troveremo sempre qualcosa per cui è valso il prezzo del biglietto.

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'68
'68
2 anni fa

Non ho apprezzato i cambiamenti dedicati al film Lo Hobbit. Inventare di sana pianta parti di trama inesistenti ed eliminarne altre importanti che dovrebbero esserci è una trovata stupidina, fatta per invogliare gli adolescenti in cerca di storielle d’amore. Articolo scritto bene, Lord of the Ring vince nel fantasy

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