Black Cut – The addiction (1995)

Crudo, sporco e per nulla accomodante. Tutto questo è The addiction, fulmine a ciel sereno nell’horror degli anni ’90. Un unicum. Un capolavoro, firmato dal maestro Abel Ferrara.

Spinto per l’ennesima volta dal desiderio di mettere in scena la dicotomia natura/cultura, l’autore di King of New York e Il cattivo tenente racconta la storia di Kathy, giovane studentessa di filosofia, che una notte, mentre torna a casa, viene morsa da un vampiro. E che quindi diventa essa stessa vampiro.

The addiction, però, è tutto fuorché un’accozzaglia di omicidi usati come pretesto per girare scene gore. Ferrara concentra tutta la sua poetica narrativa nella protagonista, una straordinaria Lili Taylor. Qui ci sia concessa una breve parentesi: il volto della Taylor nei panni del mostro è un’icona del cinema di fine millennio, al pari di Edward Norton in Fight club o di Samuel Jackson in Pulp Fiction. Le fattezze di questa nuova creatura, che si aggira nella suburbia di New York sono eternamente scolpite sugli zigomi sporgenti, gli occhi tristi e l’enigmatico sorriso di questa incredibile attrice.

Di cosa parla The Addiction? Dopo essere stata morsa, Kathy sviluppa una dipendenza dal male. Non solo fisica, ma anche morale. Ecco che quindi la nostra vampira riflette sull’origine a-storica del male, che è insito nell’uomo dalla sua stessa nascita. La filosofia, la società e la civiltà sono viste come un tentativo ipocrita di soffocare questa necessità, che nei secoli si è espletata attraverso i genocidi. Questa nuova coscienza prende forma omicidio dopo omicidio, nei quali Kathy sfida le sue vittime a respingerla. E con ciò dimostrando il predominio della volontà del male sul bene.

Tutto ciò proseguirà senza soluzione di continuità fino all’incontro di un suo simile, interpretato dal grande Christopher Walken, che metterà Kathy di fronte a nuove verità della sua stessa natura.

La durezza e il rigore delle immagini ricordano illustri antecedenti (almeno Amore tossico di Claudio Caligari). Ma queste immagini ci vengono rivelate attraverso lenti movimenti di macchina: stupendi carrelli e torsioni che riprendono un essere sempre più solo e ripiegato nella sua stessa dipendenza. Incredibili, in tal senso, sono le riprese in interno, dove lame di pura luce squarciano il buio in cui si ripara Kathy.

L’altra faccia della dipendenza è il senso di colpa. In un primo momento Kathy non prova rimorso o interesse per le sofferenze umane, ma presto un nuovo sentimento si fa strada nella protagonista. La sofferenza inflitta diventa patita. Ma nonostante ciò, Ferrara non rinuncia mai all’ambiguità del personaggio. E sarà questa ambivalenza a rendere l’opera ancora più misteriosa e affascinante.

/ 5
Grazie per aver votato!