Black Cut – L’uomo invisibile (1933)
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Black Cut – L’uomo invisibile (1933)

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In un universo cinematografico dominato dagli effetti speciali è senz’altro opportuno parlare de L’uomo invisibile, straordinaria pellicola con cui la Universal sperimentò nuove frontiere dell’impossibile.

Il film d’altronde è opera di James Whale, indiscusso genio del cinema e regista di capolavori come Frankenstein (1931) e La moglie di Frankenstein (1935). Il valore dell’opera, peraltro, è stato attestato dal suo inserimento nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. E va citato anche lo speciale riconoscimento ottenuto al Festival del Cinema di Venezia del 1934. Ma torniamo a noi. Perché L’uomo invisibile è un film tanto importante?

Il racconto

La storia è quella di Jack Griffin (Claude Rains), chimico brillante ma squattrinato, che per emergere scopre la formula dell’invisibilità. Griffin in realtà la scopre suo malgrado, pasticciando con gli esperimenti che conduce su sé stesso. E appunto il racconto inizia quando lo scienziato, già divenuto “uomo invisibile”, tenta di nascondersi nella locanda di un paesino per proseguire le ricerche lontano da occhi indiscreti. L’obiettivo, adesso, è riuscire ad invertire il processo. Ma il compito non è così semplice…

Il soggetto, che Whale trasse da un romanzo di H. G. Wells, non si allontana dai canoni dello sci-fi. Anzi, la trama appare talmente schematica da risultare ingenua. Tuttavia, il regista mette in scena un protagonista violento e manipolatore. Griffin è un ambizioso uomo di scienza che diviene vittima di un destino crudele e ironico. Una scelta coraggiosa, perché il meccanismo di immedesimazione del pubblico non sarebbe stato immediato. Whale inoltre arricchisce l’opera di uno humour nero che farà scuola, influenzando intere generazioni di cineasti a venire. Su tutti, impossibile non notarne l’impronta nel cinema di Sam Raimi. Ma non finisce qui. Whale inzeppa la pellicola di superbe idee di regia. Ciò è evidente soprattutto nelle riprese in interni, dove l’uso combinato di carrellate e movimenti sull’asse accresce esemplarmente il valore dello storytelling.

La magia

Ci siamo tenuti per ultima la parte più succulenta, ovvero gli effetti speciali. Questi furono opera del grande John P. Fulton, autore degli special fx anche in La mummia (1932) e successivamente in L’uomo lupo (1941). Anche allo spettatore più giovane non può sfuggire la perfezione dell’effetto “invisibilità” e di tutti gli annessi e connessi che questa comporta a livello visivo. Rains divenne uomo invisibile grazie alla combinazione di due tecniche. Dapprima l’attore venne ripreso vestito di una tuta nera su sfondo nero. Dopodiché queste immagini furono montate sulla ripresa del set senza attore. In questo modo fu possibile “eliminare” il corpo di Rains seguendone perfettamente la sagoma. Per ottenere l’effetto “impronta sulla neve” si fece ricorso ad un ulteriore stratagemma: l’applicazione di suole meccaniche sul pavimento, che potevano alzarsi e abbassarsi generando così l’illusione della camminata.

Con tutti questi elementi, riconoscere la grandezza del film è operazione automatica. E’ importante sottolineare, pertanto, che a rendere eccezionale questa pellicola fu la convergenza di tutti gli elementi che afferiscono al cinema. Non solo effetti speciali, ma anche regia, fotografia, recitazione. Oggi esistono metodi ben più efficaci e convenienti per ottenere lo stesso risultato. Tuttavia, il cinema fantastico si è generalmente impoverito di tutte ciò che rende interessante un film. Una storia coinvolgente, ritmata, ricca di sfumature e letture. L’uomo invisibile, in parole semplici, è la dimostrazione che per amare la fantascienza non è necessario spegnere il cervello. Anzi.

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