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Black Cut – Il bacio della pantera (1942)

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Se si fa eccezione di New York, Il bacio della pantera uscì nelle sale americane nel giorno di Natale del 1942. Alcuni cinema, per l’occasione, realizzarono delle inquietanti scenografie al proprio ingresso, con grossi felini neri incombenti sul botteghino. Un Natale nero, al giro di boa della seconda guerra mondiale.

Uno dei metodi per indagare la profondità artistica di un film è legarlo ad avvenimenti o movimenti storici. Un esempio tipico è quello di Nosferatu il vampiro (Friedrich Murnau, 1922), visto come proiezione del terrore per l’avvento del nazismo. Ma la lista, in tal senso, sarebbe interminabile. Senza tema di sfociare nella sovrainterpretazione, si possono riconoscere ne Il bacio della pantera alcuni temi centrali non solo della riflessione socio-politica del periodo, ma anche del fantasy.

In cabina di regia troviamo Jacques Tourneur, che con Il bacio della pantera firmò la sua prima grande opera, salvando, contestualmente, la Rko dal collasso. Il cineasta francese riuscì a realizzare un grande affresco sull’individuo e sulla Storia elaborando un soggetto da b-movie in cui una giovane ragazza serba si innamora del “buon americano”, nascondendo una natura forse mostruosa. O forse no.

Irena (Simone Simon), transfuga da un’Europa superstiziosa e violenta, cerca di scappare dal proprio passato. Vive a New York, dove lavora come disegnatrice di moda e si invaghisce di Oliver Reed (Kent Smith), impiegato in uno studio di progettazione. La ragazza, però, ha forti remore a portare avanti la relazione. Sotto la spinta del suo comprensivo fidanzato cerca di guarire dalla sua paura di appartenere ad una razza cattiva e predatrice, attraverso la psicanalisi. L’angoscia, anziché diminuire, troverà un perfetto reagente in Jane (Alice Moore), amica di Oliver, trasformandosi in brutale gelosia. Ma non solo. Anche il dottor Judd (Tom Conway) metterà a repentaglio la felicità dei coniugi, in un torrido quadrilatero di pulsioni sessuali.

Che il nucleo de Il bacio della pantera attenga al “fantastico” è fuori di dubbio. La doppiezza della natura di Irena, la sua mutevolezza, è però tutta giocata sul fuori campo, su contrasti abbacinanti e soprattutto sulle ombre, che in ogni momento ci parlano dell’ambiguità dell’essere umano. E mentre attorno alla protagonista si costruisce un climax di terrore, sono gli altri personaggi ad inquietare, rivelando secondi fini, ipocrisie, voluttà di dominio. In fondo, anche loro fanno parte della “cat people” del titolo originale.

Dire che questo film sia sottovalutato è poco. Il bacio della pantera è un’opera che distrugge il mito della ragione “vittoriosa” sulla natura. Ma anche quello del funzionalismo sociale, incarnato dal Nuovo Continente, terra della “normalità”, della bontà e della comprensione.

C’è dell’altro. Si sa che fu proprio nel 1942 che gli Stati Uniti assunsero la decisione di intervenire nel devastante conflitto europeo. Una grande operazione bellica, ma anche culturale: il Nord America, in questo modo, si imponeva come modello di società giusto, come “supereroe” in grado di salvare i vecchi dinosauri d’oltreoceano. Società e culture superate, capaci solo di produrre guerre e discordia. Irena, elemento centrale de Il bacio della pantera, è una portentosa obiezione a questa concezione. Di chi si compone la società degli Stati Uniti? Da dove viene la “società dei giusti” se non dall’odio, dal sangue e dalle atrocità?

In ultimo, Irena è l’archetipo della fuggitiva. Un personaggio che fugge dall’oscurità, dalla paura del male, dal passato. Ma tutto ciò che è represso o irrisolto è destinato a riemergere. Ad incatenare chi s’illude di averla fatta franca. Nuclei narrativi, questi, tipici del fantasy “impegnato”, a cominciare da Il signore degli anelli, seppur con forme e risultati differenti.

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