Black Cut – I diabolici (1955)
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Black Cut – I diabolici (1955)

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Dov’è nato il film horror moderno? Da quando il suo legame con il fantastico si è intrecciato con le implicazioni psicologiche dell’emotività? Se non avete la risposta perfetta, I diabolici è comunque una buona risposta a queste domande.

Il cinema dell’orrore è strettamente connesso all’evoluzione della settima arte. Anzi, si potrebbe dire che il cinema per eccellenza è l’horror. Ma il grande schermo è un universo talmente complesso che dargli un senso univoco significa inevitabilmente perdersi tutti gli altri. E infatti quando esaminiamo I diabolici non ci troviamo di fronte ad un solo genere. Orrore, certo, ma anche noir, thriller, fantastico. Tutto questo condensato in meno di due ore: 110 minuti che hanno fatto la storia del cinema.

Nell’adattare il racconto Celle qui n’etait plus (1952), il regista Henri Georges Clouzot si trovò di fronte ad una difficoltà non da poco. La short story scritta a quattro mani da Pierre Boileau e Thomas Narcejac presentava un’ambientazione più scarna. Difficile da portare in sala senza ridurre drasticamente il minutaggio. Stretto in pochissimi ambienti e praticamente nel solo schema triangolare dei tre personaggi principali, il film non avrebbe goduto dell’ossigeno necessario a far respirare la suspense. E allora, Clouzot cambiò tutto. O quasi.

I diabolici ci proietta in un collegio per ragazzi diretto dalla ricca Christina (Vera Clouzot). La donna, delicata e debole di cuore, è sposata con Michel (Paul Meurisse), violento marito-padrone che attende solo la morte di sua moglie per scappare con l’amante, Nicole (Simone Signoret), insegnante dell’istituto. Anche Nicole però è stufa delle molestie di Michel, e si allea con Christina per attirarlo in una trappola, ucciderlo e liberarsi per sempre di lui. Il piano sembra riuscire alla perfezione. Salvo che di lì a poco il corpo di Michel scompare ed inizia a tormentare le sue aguzzine…

Da subito capiamo che Clouzot ha apportato modifiche azzeccate. Il film è un saggio di maestria sin dalle prime inquadrature, quando ci racconta le psicologie dei vari personaggi con pochi e ispirati tocchi. La macchina da presa, mobile ma equilibrata, prima di buttarsi nella narrazione indugia sul punto di vista dei giovani educandi, che alla fine del film si rivelerà fondamentale.

Se il racconto di partenza è stato definito «un interminabile attacco di cuore», il film non è da meno. Attraverso il punto di vista di Christina sprofondiamo in una spirale di angoscia latente, soffocata, che viene a galla e poi sprofonda di nuovo. Pochi film possono vantare una costruzione della tensione come quella de I diabolici. Clouzot poi non rinuncia a mostrarci l’orrore dell’omicidio, dell’impotenza, della morte. Splendidi carrelli calzano la scena con fluidità. Un bianco mortale attanaglia il volto della protagonista. Attraverso il nero, il cineasta modifica la percezione che abbiamo degli elementi, nascondendo quando c’è da nascondere (come nella scena della piscina) e talora mostrando più di quanto esista nella realtà, come nella migliore tradizione espressionista.

Scandito da un intrigo perfetto, questo film dovrebbe far parte di qualsiasi collezione, che si ami l’horror o meno. I diabolici è un’opera esemplare per capire come costruire personaggi ambigui, o l’uso dei piani sequenza, dei dolly e dei passaggi fra punti di vista diversi. E il finale, che dalla risoluzione “gialla” si apre al fantasy, distrugge ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) le certezze dello spettatore, lasciandolo con nuove lancinanti domande.

Il noir di Boileau e Narcejac, non a caso, fino all’ultimo fu oggetto di contesa fra Clouzot e Alfred Hitchcock. E se rimane la curiosità di sapere che film avrebbe fatto Hitch, tuttavia non si può dire che il francese avrebbe potuto fare di meglio. I diabolici è semplicemente quanto di meglio il cinema ha da offrire, in ogni tempo e per qualsiasi pubblico. Ne consigliamo la visione assieme alla lettura del favoloso racconto edito da Adelphi nella collana Fabula.

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